A Matteo Colaninno non restava che buttarsi in politica
18 Febbraio 2008
di redazione
Tempi di campagna elettorale anche per Confindustria. Le
prime battute sono state di Luca Cordero
di Montezemolo che ha subito iniziato con un suo vivo interesse per il
programma di Walter Veltroni. Ma si è preso il brusco rabbuffo di Sergio Romano
che gli ha spiegato dalle colonne del Corriere della Sera che un presidente
degli imprenditori dovrebbe parlare all’interno dei confini fissati dal proprio
mandato e non dire tutto quello che gli passa per la testa. E così qualche
giorno dopo Montezemolo ha lodato anche il programma berlusconiano per
l’impegno a detassare sensibilmente straordinari e premi di produzione.
Finite le scintille montezemoliane, ai confindustriali tocca
adesso una valutazione più pacata e articolata dei programmi dei due
contendenti per il governo. La proposta berlusconiana è quella veramente in
sintonia non solo con gli industriali ma anche con larghe fette di lavoratori
che sanno che per avere tanti soldi e subito, bisogna puntare su scelte che
incrementino la produttività.
E su questa linea si trovano anche la Cisl e la
Uil. Mentre la Cgil (concentrata sulla rigidità dei rapporti di lavoro che
rappresenta il suo punto di forza e impedisce il crescere di laceranti
differenzazioni al suo interno) ha
espresso con chiarezza la sua contrarietà.
Molta preoccupazione solleva tra gli imprenditori invece la
proposta di Walter Veltroni su un salario minimo per i lavoratori senza
contratto a tempo indeterminato: si coglie in questa idea tutta l’astrattezza
del gruppo di tecnici ed esperti che si ritrovano intorno al sito
“lavoce.info”. Brillantissimi nel lanciare provocazioni, formidabili nel
disegnare scenari a prescindere dal contesto, quelli de “lavoce. info” hanno
qualche difficoltà a calarsi nella realtà concreta. Innanzi tutto nelle tipologie
specifiche dei lavori non a tempo indeterminato, che spesso prevedono da una
parte impieghi assai diversi per ore lavorate, dall’altra l’accumulo di più e
differenti rapporti di lavoro: caratteristiche che impediscono alla radice la
possibilità di un salario minimo.
Vi è poi un problema più generale che
riguarda l’assetto delle relazioni industriali italiane: se questo debba
prevedere come suo fondamento la contrattazione delle condizioni di lavoro (con
il valore erga omnes degli accordi più rappresentativi) o possa puntare per
certe tipologie di salario anche a interventi legislativi. In Francia il
salario minimo viene fissato dal Parlamento: e questo tra le altre cose ha
quasi fatto sparire i sindacati dalle realtà industriali.
In Italia, prevale nei sindacati la volontà che i salari
siano determinati solo dalla contrattazione: la stessa Cisl pur attenta a
scelte di modernizzazione delle relazioni industriali, ha già dato un parere
negativo sulle proposte veltroniane. E tanto più fa la Cgil, intenta a conservare
il più possibile gli assetti esistenti.
Tiziano Treu sul Riformista ha già annunciato una possibile
marcia indietro, dicendo che naturalmente tutte le proposte dovranno passare al
vaglio del confronto con le confederazioni.
Tutti questi sono i motivi per i quali i vertici
confindustriali sono sufficientemente in allarme: nella giornata di lunedì 18
febbraio sotto il coordinamento di Alberto Bombassei, viale dell’Astronomia
verificherà la possibilità di prendere una posizione più definita.
Resta comunque forte la diffidenza per i segnali di
dirigismo dati da Veltroni e per la sua astrattezza che tra l’altro ha messo in
allarme i sindacati che dovrebbero essere tenuti tranquilli alla vigilia della
strategica (ma molto confusa) trattativa sulle nuove caratteristiche dei
contratti di lavoro.
Cresce dunque l’attenzione per il saggio pragmatismo
berlusconiano. Appare sempre più evidente che nel mondo delle imprese il
montezemolismo di sinistra, quello tutto pappa e ciccia con Veltroni, abbia
pochi spazi. Da qui la fuga in politica di un Matteo Colaninno che ha visto le
sue chance di entrare nella presidenza Marcegaglia ridotte a zero. E un destino
simile probabilmente toccherà ad Anna Maria Artoni. L’ala convegnistica di
Confindustria vede scemare rapidamente il proprio potere.