A Siena non è vero che chi bene vuol mangiare, un po’ deve pagare

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A Siena non è vero che chi bene vuol mangiare, un po’ deve pagare

29 Agosto 2009

Tra le tante conversazioni, più o meno futili, in cui sono stato coinvolto questa estate, non sono mancate ripetute discussioni sul costo della ristorazione. Da taluno è stata avanzata la critica, per altro amichevole, secondo cui questa rubrica presti ogni cura nel segnalare ristoranti di qualità (sia pure, selezionati secondo i parametri, affatto soggettivi, a suo tempo illustrati) ma che, non poche volte, si tratti di locali, sì alieni dal lusso e, talora, anzi, addirittura spartani, ma con prezzi non sempre particolarmente contenuti. In quelle circostanze, me la sono cavata rispondendo con un finto adagio popolare, costruito sulla scorta di quanto mia madre soleva dirmi da bambino, mentre, riottoso, cercava di pettinarmi. Allorquando incontrava qualche nodo nei capelli, che magari scioglieva con un colpo di spazzola troppo deciso, in risposta alle mie immediate ed esagerate proteste, mi ammoniva, esclamando: “Chi bello vuole apparire, un po’ deve soffrire!” Ho avuto, quindi, facile gioco dialettico, sostenendo che: “Chi bene vuol mangiare, un po’ deve pagare”.

Al di là delle contingenti battute di comodo, il problema del costo della ristorazione di qualità, tuttavia, esiste certamente, ma è di ardua risoluzione, giacchè le materie prime, per l’appunto di qualità accertata, sono difficilmente reperibili e sempre care. (Per restare in tema di adagi popolari veri, si dovrebbe ricordare che “non si fanno le nozze con i fichi secchi” o “con i funghi” – come dice una mia adorata amica, originaria di una regione che non produce ovuli e porcini …). La questione prezzi è “un di cui” del serissimo tema del costo eccessivo delle derrate alimentari al dettaglio, a fronte di una remunerazione, soventemente modestissima, riconosciuta alla produzione. Non vi è dubbio che il problema generale va affrontato accorciando e razionalizzando la catena della distribuzione e favorendo forme di organizzazione di vendita diretta ad opera dei produttori. Per quanto concerne,  specificatamente, la ristorazione, da parte  degli utenti non c’è, comunque, molto da fare, se non seguire alcune cautele. Nei piatti ittici, il pesce “nobile” (orate, branzini e spigole, per tacere di aragoste e astici), di sicura provenienza (le truffe, purtroppo, sono all’ordine del giorno), è divenuto una rarità, in un Mediterraneo sempre meno generoso. Per calmierare i conti occorre, quindi, fare più spesso ricorso alle varie  tipologie di pesce azzurro, di cui, personalmente, sono, per altro, ghiotto consumatore: alici, sardine, acciughe, le diverse specie di  sgombro, aguglie e i meno consueti sugherelli e papaline sono cibi squisiti, digeribilissimi, presentano il vantaggio di contenere grassi insaturi (i celebri omega 3) e risultano decisamente a buon mercato.

 

Altro modo di contenere la spesa è scegliere, quando possibile, i ristoranti cosiddetti “del territorio”, esercizi, cioè, che fanno prevalentemente impiego di prodotti locali, di cui si approvvigionano direttamente, con vantaggio di freschezza delle derrate e costi più contenuti.

 

Un ristorante siffatto è la senese  Osteria di Nonna Gina, di cui parliamo oggi.

 

Siena offre diversificate occasioni di soggiorno, non solamente nei due mesi magici di luglio e agosto, in cui si corrono i due palii annuali: le bellezze artistiche e la piacevolezza dei dintorni, gli eventi culturali, i convegni e le manifestazioni che spesso la scelgono per tenervi i lavori, la circostanza che qui abbia sede un grande gruppo bancario nazionale  conducono molti visitatori nella “Repubblica”. La città è ben attrezzata ad accoglierli, sia sotto il profilo della recezione alberghiera sia dell’ospitalità enogastronomica. A proposito di quest’ultima, non mancherà occasione futura per discorrere delle Logge o del Mangia, locali sempre di riferimento, oltretutto centrali e facilmente raggiungibili. Per trovare Nonna Gina occorre, invece, un minimo di impegno: ci si deve, infatti, allontanare dai percorsi più consueti, recandosi nella zona tra  Porta San Marco e Porta Laterina, al limite del territorio della Contrada della Chiocciola. Il locale è di minuscole dimensioni, una saletta all’ingresso, una seconda sala, appena un po’ più grande ma sempre molto intima, e, per le emergenze, tipo una bella tavolata di studenti, un ambiente sotterraneo. Il menù è decisamente territoriale: gli antipasti toscani, con crostini e bruschette, gnocchi e pici, la panzanella senese, i rigatoni alla cinta, lo spezzatino, la lingua tonnata, la vitella agli aromi, la trippa senese (da leccarsi i baffi), la salciccia grigliata, il filetto di maialino al pecorino, le tagliate di manzo e le bisteccone di vitello, accompagnate dallo sformato di zucchine, dai fiori fritti o dai ceci “a condire” offrono una non disprezzabile opportunità di costruire un piacevole percorso personale. I dolci confezionati giornalmente possono rendere il percorso stesso invero “esaustivo”. Il servizio è rapido, cortesissimo e particolarmente attento alle esigenze del cliente.
La cantina non è enorme, ma ben fornita di valide bottiglie, proposte con ricarichi parsimoniosi. Il costo complessivo è senz’altro contenuto e il rapporto qualità/prezzo ottimo.

 

 

Siena OSTERIA NONNA GINA – Pian dei Mantellini, 2 – telefono: 0577/287247 – Chiuso il lunedì