Il dibattito sempre più attuale sui potenziali benefici
delle biotecnologie, viene spesso animato dai più scettici in contrapposizione
al valore ambientale, nutrizionale e sociale degli alimenti biologici. Tuttavia
in un articolo dell’Economist pubblicato negli ultimi anni (Dicembre 9, 2006)
l’agricoltura biologica prende una brutta batosta: “Buy organic, destroy the rainforest”! L’affermazione che può
sembrare un po’ allarmista, in realtà è inserita in un contesto economico molto
più ampio ed analitico di quello dell’orticello del contadino dove si coltivano
gli ortaggi naturali. Le critiche
sollevate nell’articolo, tra l’altro sostenute dal premio Nobel per la pace
Norman Borlaug, riguardano essenzialmente la bassa efficienza produttiva dei
sistemi di produzione biologica. Senza troppi complimenti Mr. Borlaug definisce
ridiculous l’idea che l’agricoltura
biologica apporti benefici all’ambiente perché richiederebbe molta più
superficie per coltivare la stessa quantità di prodotti rispetto ai metodi
convenzionali. Superficie che verrebbe appunto sottratta alla rainforest. Sempre a proposito
dell’agricoltura biologica, si sottolineano inoltre le regole spesso arbitrarie
che vengono accettate in questo sistema colturale come l’uso dei composti
rameici (per la cui tossicità, paradosso
dei paradossi, in passato sono comparsi sul mercato molti prodotti di
sintesi alternativi). Ridurre l’immissione di pesticidi e diserbanti
nell’ambiente ed aumentare le produzioni per unità di superficie sono tra gli
obiettivi principali che le biotecnologie (OGM inclusi) si propongono di
perseguire. Il valore di questi e di altri obiettivi delle biotecnologie, per
lungo tempo oggetto di pareri contrastanti, è stato oggi riconosciuto
dall’Unione Europea dove è prevalso il principio della coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali.
Anche
L’Economist e’ un buon magazine, ma non certo una rivista scient
Le critiche sollevate nell’articolo, sono basate su una scarsa conoscenza delle problematiche relative all’adozione di metodi di coltivazione “environmental friendly”. Le produzione biologiche sono produzioni ad alta intensità: produzioni come broccoli, pomodori, etc. sono tutte coltivazioni di serra. Non certo grano duro ed altre produzioni estensive che richiedono ampi spazi. Senza troppi complimenti per Mr. Borlaug, affermare che l’agricoltura biologica richiederebbe molta più superficie per coltivare la stessa quantità di prodotti rispetto ai metodi convenzionali e’ una scemenza, dato appunto che le produzioni biologiche non sono produzioni estensive ma sono produzione ad alta intensità, produzioni di serra. Sono un ricercatore, mi occupo di pesticidi e biopesticidi, senza presunzione di causa, l’articolo dell’Economist, come spesso accade nel mondo dell’editoria ha voluto fare da bastian contrario in un momento caratterizzato da un certo estremismo ambientalista. Ha voluto trasmettere un messaggio, un messaggio forte e sbagliato nelle basi voleva paradossalmente essere un messaggio alla moderazione. Non voleva essere certo essere una risposta scientifica ad una problematica ben più complessa.
commento
la popolazione mondiale continua ad aumentare e nonostante i diffondersi dell’agricoltura ad alto contenuto tecnologico , 800 milioni di persone CONTINUANO a soffrire al fame . certo , questo è dovuto più che altro alla povertà, ma nel suo insieme per ora la Terra può sfamare tutti. Il problema sorgerà, quando entro il 2050 quando le statistiche demografiche aumenteranno e le “bocche da sfamare” saranno tra i 9 e gli 11 miliardi (3,5 miliardi più di oggi)quindi gli scienziati dovranno cercare soluzioni nuove perchè sarà necessario qualcosa di molto più efficace dei tradizionali metodi agricoli specialmente se non si vorrà continuare a disboscare e coltivare fino all’ultimo “fazzoletto” di terra le praterie