Ahmadinejad: “Obama confessi che l’11/9 fu una cospirazione sionista”
28 Gennaio 2009
E’ sempre un piacere dialogare con i mullah. Ieri, durante la lunga intervista trasmessa dal canale satellitare al-Arabiya, il presidente Obama aveva ribadito “l’importanza di parlare con Teheran” per “stabilire con chiarezza dove siano le nostre differenze, ma anche dove esistano strade potenziali di progresso”. Obama aveva riassunto le colpe del regime di Teheran: le minacce a Israele, il programma atomico per dotarsi dell’arma nucleare, l’appoggio alle organizzazioni terroristiche della regione. Nonostante tutto: “Se il governo iraniano mostrerà la volontà di aprire il suo pugno, troverà da parte nostra una mano tesa”.
Oggi arriva la risposta di Ahmadinejad a cui probabilmente nessuno ha mai chiarito cos’è una stretta di mano. Il presidente iraniano chiede a Obama di dire la verità sugli attentati dell’11 Settembre. E’ la solita solfa cospirazionista che, purtroppo, conosciamo bene anche in Italia grazie a personaggi del calibro di Maurizio Blondet, Claudio Moffa o Giulietto Chiesa. L’11/9 sarebbe il frutto di un complotto organizzato da agenti israeliani annidati nell’amministrazione Bush. “Così come sull’Olocausto – aggiunge Ahmadinejad – anche sull’11/9 non fu rivelata la verità, ma gli attentati furono un pretesto per attaccare l’Iraq e l’Afghanistan e uccidere milioni di persone”. Più che la politica della “mano tesa” a Obama saranno cadute le braccia.
Il presidente iraniano ha anche chiesto agli Usa di scusarsi per i “crimini” commessi contro l’Islam: “Vi siete schierati contro il popolo iraniano negli ultimi 60 anni”, e ha definito “terroristi” tutti i gruppi che si oppongono al regime religioso che prese il potere nel 1979. Conclusione: “Se parlate di cambiamento bisogna mettere fine alla presenza militare americana nel mondo, dovete ritirare le truppe e restare all’interno delle vostre frontiere”. Con una postilla: “Mettete fine al sostegno dato ai sionisti senza radici”. L’impressione è che la nuova strategia del bastone e della carota, di cui Obama sembra andare tanto fiero, con Teheran sia praticamente inutile.
L’intervista di Obama ha provocato una serie di reazioni anche in altri ambienti del mondo arabo e musulmano. I Talebani, per esempio, gente abituata a decapitare soldati e civili senza farsi troppi scrupoli, si permettono di giudicare come “un passo positivo per la pace e la stabilità” del Medio Oriente la decisione di Obama di chiudere Guantanamo. “Usare la forza contro le popolazioni indipendenti del mondo – spiegano – ha perso efficacia”. Ecco il rischio di tendere la mano ai propri avversari, tu la tendi e quelli si prendono tutto il braccio. Tra un po’ diranno che i veri pacifisti sono loro.
Reazione identica ai Talebani è stata anche quella di Hamas che ha valutato “positivamente” la scelta di George Mitchell come nuovo inviato speciale americano in Palestina. Secondo Ahmed Youssef, un ufficiale di Hamas intervistato da Al-Jazeera, “Credo che potremo raccontargli molte cose buone”. Ma per i palestinesi di Gaza una cosa è il dire e l’altra è il fare. Molti arabi ci vanno con i piedi di piombo nel commentare l’intervista obamiana, mostrandosi scettici di fronte alla possibilità che la politica americana possa cambiare in modo sostanziale: “Non posso essere ottimista fino a quando non vedrò qualcosa di tangibile – ha detto Hatem al-Kurdi, un ingegnere 35enne di Gaza City – Chiunque può dire delle belle parole ma devi farle seguire da azioni concrete”.
Può essere opportuno, infine, fare una riflessione generale sulle reazioni dei governanti arabi e islamici all’intervista di Al-Arabiya. Fa sorridere che gli stessi leader arabi che si sono congratulati con Obama per la nuova politica della “mano tesa” restino quella accozzaglia di principi e monarchi, mullah e ayatollah, autocrati e dittatori, aggrappati al potere da qualche decennio e che hanno tolto ogni speranza di libertà e di cambiamento ai loro popoli. Leader che per lungo tempo, e ancora oggi, hanno incoraggiato il terrorismo, alimentato la corruzione, violato i diritti umani nei loro Paesi. Quelli della mano mozza più che della mano tesa.