Al via il “tour della memoria” di McCain. Pressing su Hillary, ma lei non cede

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Al via il “tour della memoria” di McCain. Pressing su Hillary, ma lei non cede

31 Marzo 2008

“John McCain. Il presidente americano, che gli americani stavano aspettando”: è lo slogan del nuovo spot elettorale del senatore dell’Arizona, lanciato nello scorso week end (per cominciare, nel New Mexico).

Si tratta del primo messaggio elettorale realizzato ad hoc per la sfida del 4 novembre, dopo la conquista della nomination repubblicana. Lo spot mostra immagini di McCain prigioniero di guerra. Significativamente, la nuova campagna pubblicitaria s’intitola “624787”, ovvero il numero di matricola del giovane pilota della US Navy durante la guerra in Vietnam. A partire da questa settimana, inoltre, il senatore del GOP sarà impegnato in un “tour della memoria”, che lo porterà nei luoghi più significativi della sua gioventù e della sua carriera militare. McCain sarà impegnato in nove appuntamenti per la raccolta di fondi elettorali. Tra le tappe del “Service to America Tour”, la sua scuola in Virginia, l’accademia navale ad Annapolis e le basi militari in cui ha prestato servizio.

I nuovi spot e il tour fanno seguito, di pochi giorni, al più importante discorso sulla politica estera americana pronunciato sin ad oggi dal candidato McCain. Parlando al “World Affairs Council” di Los Angeles, il senatore ha spiegato la sua visione sul ruolo degli USA nel mondo del XXI secolo. McCain si è autodefinito “un idealista realista”, che “detesta la guerra” avendola sperimentata sulla propria pelle. Gli Stati Uniti, ha affermato, devono essere una guida per il mondo libero come ai tempi di Truman. Tuttavia, ha aggiunto, i tempi sono cambiati: “Oggi non siamo più da soli”. Per questo, gli Stati Uniti “non possono agire facendo leva solo sulla propria forza”. Ed ha aggiunto: “Dobbiamo attrarre gli altri popoli alla nostra causa, dimostrando ancora una volta il valore della libertà e della democrazia”.

McCain ha ribadito che non bisogna mostrare cedimenti in Afghanistan e in Iraq. Quindi, con spirito di autocritica, ha ricordato che, per troppi anni, gli Stati Uniti hanno contato sulle dittature per avere ordine e stabilità. Anche con Saddam Hussein è stato fatto questo sbaglio, non ha nascosto il senatore dell’Arizona. “Non possiamo più prenderci in giro”, ha avvertito, “pensando che fidarsi di queste autocrazie sia la migliore scommessa per noi. Non possono fornirci stabilità, solo un’illusione di essa”. Con toni cari al pensiero neoconservatore, McCain ha così sottolineato la necessità “di espandere il potere della libertà”. “Non si tratta di puro idealismo”, ha precisato, “ma del più autentico realismo. Sono le democrazie che costituiranno i pilastri su cui potremo costruire una pace duratura”.

Se, dunque, McCain mette a punto programmi e strategie in vista del voto del 4 novembre, i Democratici sono ancora in alto mare. La sfida infinita Obama-Hillary preoccupa sempre più i leader del partito dell’Asinello. In un’intervista alla CBS, Howard Dean ha chiesto agli 800 superdelegati (maggiorenti di partito) di annunciare entro il primo luglio la propria opzione. Dal canto suo, la speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha chiesto ai superdelegati di adeguarsi al voto popolare, quello espresso dalle primarie, che al momento vede in vantaggio il senatore dell’Illinois. Dal canto loro, due senatori che appoggiano Obama, Chris Dodd e Patrick Leahy, hanno chiesto ad Hillary Clinton di farsi da parte, evitando che si arrivi ad un drammatico duello finale alla Convention democratica di fine agosto. Hillary, però, non ha intenzione di cedere. In un’intervista alla FOX News di mercoledì scorso, la ex First Lady ha dichiarato che la partita è ben lontana dall’essere chiusa e che è pronta a proseguire la sua battaglia fino alla Convention, se sarà necessario.

Hillary spera ancora nella vittoria in Pennsylvania (il senatore democratico di questo Stato, Bob Casey, però ha dato l’endorsement a Obama) dove si voterà il prossimo 22 aprile. Sono in palio 158 delegati, più o meno la cifra che la divide dal senatore dell’Illinois. La Clinton è in vantaggio nei sondaggi in Pennsylvania, ma questo Stato vota con un sistema proporzionale di assegnazione dei delegati. Dunque, anche se Hillary vincesse in termini di voti, il suo bottino di delegati non sarebbe comunque sufficiente a colmare il distacco da Obama. Secondo gli ultimi sondaggi, a livello nazionale, peraltro, il senatore afro-americano non sembra aver subito conseguenze dopo le controverse dichiarazioni antiamericane del pastore della sua Chiesa, il reverendo Jeremiah Wright jr (ha detto che l’11 settembre gli USA se lo sono cercato), da cui Obama ha dovuto, non senza imbarazzo, prendere le distanze. Obama sente ancora il vento in poppa e ha perfino voglia di scherzare sulla partita ad oltranza con Hillary: “Sembra un bel film. Ma è già durato mezz’ora di troppo”.

P.S. Giovedì vi racconto la storia di Bobby Jindal, il Barack Obama del partito Repubblicano.