Alfred Kubin, il maestro del fantastico che fece da battistrada al surrealismo
18 Settembre 2009
di redazione
Dell’illustratore e scrittore Alfred Kubin si ricorda quest’anno il mezzo secolo dalla morte, eppure la memoria della sua opera, in Italia, pare essere totalmente dimenticata. A nulla sembrano siano valse la prima esposizione italiana nel 1951, alla Biennale di Venezia, la pubblicazione del suo unico romanzo, L’altra parte (Adelphi, 1965, con ristampa nel 2001), così come quella di Demoni e visioni notturne (Abscondita 2004).
In realtà, grazie alla sua opera grafica distribuita su 140 libri illustrati (tra i quali testi di Dostoevski. E.T.A. Hoffmann e Poe), il “maestro del fantastico” fece da battistrada al surrealismo e le sue creazioni divennero lo specchio ustorio delle energie di una certa modernità.
Secondo la sua stessa definizione, Kubin spese la propria vita “mirando le fauci di ciò che è vivo ed elementare”, e creando lì “dove altri da tempo, davanti all’orrore, tenevano gli occhi chiusi”.
Condizionata da esperienze misteriose ed orrorifiche fu già la sua infanzia, trascorsa nel tenebroso paesaggio boschivo boemo: la perdita di amici e parenti ne condizionarono una disposizione nevrotica che raggiunse l’apice nel tentativo di suicidio sulla tomba della madre e dalla quale non riuscì mai a liberarsi. Piuttosto, fu proprio quell’accesa sensibilità a determinare l’efficacia della sua opera.
Già fondatore nel 1909, insieme a Marc, Kandinsky ed altri, della “nuova associazione di artisti” di Monaco di Baviera, negli anni 1911/12, quando Kandinsky polarizzò il gruppo, Kubin contribuì a dar vita al “Blaue Reiter”. Lui e gli amici del “cavaliere azzurro”, esaltando il potere della fantasia, condivisero la volontà di annunciare la differenza tra la vera essenza delle cose e il carattere di apparenza della realtà, tra lo “spirito” (Geist) e la convenzione.
Del resto, lo stesso romanzo L’altra parte, scritto in soli tre mesi, pubblicato nel 1909 ed accompagnato da 52 suoi disegni, suscitò grande interesse in personalità come Gustav Meyrink, Leo Perutz e Franz Kafka in quanto frutto di lucida indagine sulla “sostanza spirituale delle cose”, fino ad essere definito da Ernst Jünger un “esempio di profezia artistica”.
L’"altra parte" della realtà evoca la visione apocalittica di un Regno del Sogno nel lontano Oriente che si pone anche come contromodello della società industrializzata. Il romanzo è la descrizione della dura lotta tra la caotica energia originaria e l’autocoscienza. Tentativi d’opposizione e rovina caratterizzano figure d’uomini disorientati, presi da isteria e paura. A questa visione di decadenza del mondo, da qualcuno definita come “regressione”, si sarebbe contrapposto nel 1931 il “lavoratore” di Jünger, con la sua “apocalisse fredda”.
Ciò che rende ancor oggi affascinante L’altra parte di Kubin è l’eterna domanda su destino e libertà, individuali e collettivi. Il signore del Regno del Sogno, Claus Patera, vive irraggiungibile nel palazzo della capitale Perla, e teso alla costruzione di un “paese ideale” cova “un profondo disgusto verso tutto ciò che è progresso”. Il viaggio dell’io narrante, che è anch’esso disegnatore ed ha la stessa età di Kubin, si trasforma ben presto in ricerca della vera identità di Patera, attraverso l’incontro con figure umane, semi-umane e con maschere di morte.
Tanto più che nella descrizione del Regno non mancano tratti evocanti i più moderni sistemi totalitari, sullo stile del “Grande Fratello” orwelliano: “Patera era ovunque, lo vedevo nell’occhio dell’amico come del nemico”.