Alla fine sulla par condicio aveva ragione il Cavaliere

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Alla fine sulla par condicio aveva ragione il Cavaliere

26 Febbraio 2008

“Non siamo qui per lodare la par
condicio, ma per seppellirla”. E’ quel che devono essersi detti i componenti
della Commissione di Vigilanza RAI la scorsa settimana, accogliendo gli
emendamenti presentati dal Popolo delle Libertà e dal Partito Democratico al
testo del regolamento proposto dal radicale Marco Beltrandi. Già i dubbi sui faccia
a faccia tra i candidati premier, motivata dal presidente della Commissione
Landolfi con l’oggettiva impossibilità di mettere a confronto ciascuno degli
otto con tutti gli altri, non era stata vista di buon occhio dalle forze
collaterali rispetto ai due partiti maggiori, desiderose di accreditare i
propri candidati come potenziali concorrenti a tutti gli effetti di Berlusconi
e Veltroni. Le stesse forze si erano quindi sollevate per protestare contro la
modifica al regolamento, che stabiliva che i vari soggetti politici in lizza,
almeno fino alla presentazione delle liste prevista per il 9-10 marzo, avrebbero
goduto sì di parità di trattamento nell’informazione radiotelevisiva, ma non di
parità di accesso. Alla fine, una difficile conciliazione è stata raggiunta
sull’ipotesi che il tempo delle trasmissioni politiche venga dedicato per il
50% alla presentazione paritaria di tutti i partiti, e per il restante 50% sia
suddiviso tra le forze politiche in maniera proporzionale alla loro grandezza.  salvato capra e cavoli,

Il salvataggio in extremis di
capra e cavoli non sminuisce la novità: riconoscendo che le forze politiche
maggiori in TV hanno diritto a maggiore spazio, si realizza l’auspicio espresso
in tempi non sospetti da Berlusconi. Il Cavaliere era stato tacciato all’epoca
di tycoonismo dai suoi stessi alleati (oggi ex), per aver denunciato
l’insensatezza di una norma (ribattezzata “impar condicio”) che obbligava le
forze più rappresentative del paese ad essere trattate come le formazioni
appena sorte, e magari mai sottoposte al consenso degli elettori. Tre anni
dopo, il tempo e il nuovo clima confermano l’assurdità di riservare, nei
telegiornali e nei programmi di approfondimento, a ciascun partito o coalizione
esattamente lo stesso spazio garantito agli altri. Addio, insomma, non solo ai
confronti televisivi da Far West, a colpi di telecamera fissa e risposte più o
meno ad effetto; ma anche al cronometro che accompagnava quei confronti, all’arbitraggio
sempre (e quindi mai) al di sopra di ogni sospetto, nel costante timore di
sforare il tetto dei secondi previsti, tracimando nello spazio riservato all’avversario,
subendo non solo i rimbrotti della Vigilanza, ma peggio ancora l’impietoso
giudizio degli elettori-spettatori.

Un contesto del genere, che già
era apparso artificioso e inutilmente ingessato nello scorso confronto alle
urne (come se gli elettori non sapessero poi orientarsi al di là dei paraocchi
imposti loro), sarebbe oggi palesemente inadeguato a rappresentare la
competizione politica in atto. Un po’ come la legge elettorale, che oggi – dopo
la coagulazione del PD e del PDL – appare superata sul campo dello stesso
bipolarismo (ormai bipartitismo) che l’aveva ispirata, a prescindere dagli
esiti più o meno incerti. Ma mentre il dialogo sulla riforma del “Porcellum” si
era arenato di fronte all’assalto delle mille ragioni di altrettanti soggetti
politici, ognuno determinato a modellare la nuova legge a propria immagine e
somiglianza, l’accordo sostanziale tra democratici e popolari sulle regole
della partita televisiva ha prodotto un risultato immediato e ben più proficuo.
Più che la legge elettorale, insomma, poté la televisione: che con la riforma
della par condicio rappresenta il primo, vero successo del nuovo assetto
politico all’insegna del CaW.