Alle primarie è tempo di fuochi d’artificio

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Alle primarie è tempo di fuochi d’artificio

27 Febbraio 2008

Tutti contro tutti. Hillary attacca Obama,
che le risponde per le rime. Il New York
Times
insinua sospetti sull’integrità di McCain. Il senatore dell’Arizona
non ci sta e promette battaglia. Ralph Nader, l’avvocato dei consumatori,
annuncia la sua (ennesima) candidatura alla presidenza. E ne ha per tutti. Se
volevate i fuochi d’artificio siete accontentati.

“Sarà una campagne elettorale
corretta”, promettevano i protagonisti qualche mese fa. Una pia illusione, a
giudicare dalle tonnellate di fango che i candidati rimasti in campo si stanno
gettando l’uno addosso all’altro. I colpi bassi caratterizzano soprattutto la
sfida in casa democratica. Anche il 20.mo dibattito televisivo tra Obama e
Hillary (ieri a Cleveland) è stato caratterizzato da toni ruvidi e scambi di
accuse reciproche. E’ stato il culmine di un febbraio rovente. “Shame on you
Barack Obama”, “Vergognati”: non è andata per il sottile la senatrice di New
York, che la settimana scorsa parlando (volto tiratissimo) a Cincinnati, in
Ohio, ha sferrato un attacco senza precedenti nei confronti del senatore
dell’Illinois. Hillary ha accusato lo staff di Obama di aver inviato migliaia
di email e diffuso volantini in cui si attribuiscono alla ex First Lady dichiarazioni false sul sistema sanitario e l’accordo
commerciale NAFTA (North American Free
Trade Agreement
), che proprio in Ohio è costato il posto di lavoro a 50
mila persone. Hillary ha accusato Obama di usare i trucchetti di Karl Rove, il
consigliere di Bush (“l’architetto” delle sue vittorie), inviso agli elettori
democratici.

Tirato in ballo dalle critiche veementi
della Clinton, Obama ha risposto che la rabbia di Hillary è pura tattica ed ha
rilanciato: “Quando ero sotto di 20 punti andavo bene, adesso che sono avanti
vengo attaccato ogni giorno”. A molti commentatori, in effetti, la violenza
verbale di Hillary Clinton è sembrata una prova di debolezza. La ex First Lady ha visto erodere, Stato
dopo Stato, il suo vantaggio iniziale ed ora si gioca il tutto per tutto nelle
primarie del 4 marzo (Texas ed Ohio). I sondaggi, che le arridevano, ora la danno
perdente. Obama sembra un rullo compressore che conquista delegati, maggiorenti
del partito e last but not least
montagne di dollari in fondi elettorali. Per il New York Magazine, Hillary sarebbe vicina alla disperazione.
Continua a ripetere di essere pronta a governare il Paese dal primo giorno allo
Studio Ovale e di avere l’esperienza giusta per guidare la nazione. E non si rende
conto che la partita le è sfuggita di mano. I giornali americani sono impietosi
nel far notare che, mentre Obama riempie gli stadi, Hillary raccoglie solo
qualche centinaia di supporter nei suoi appuntamenti elettorali. Eppure, va
riconosciuto che la senatrice di New York non ha tutti i torti quando denuncia
una certa ambiguità del senatore afro-americano in politica estera. Tuttavia,
l’onda dell’obamamania, un fenomeno
metapolitico, non sembra ancora arrestarsi, almeno tra i Democratici.

Davvero disperata è parsa l’ultima mossa
dello staff di Hillary Clinton: la foto di Obama con turbante e vestiti tribali,
scattata durante un viaggio del 2006 in Kenya, (la terra dei suoi avi) comparsa
sul sito web “scoopistico” Drudgereport
e consegnata da “mano clintoniana”. Si vuole far passare l’immagine di un Obama
pittoresco e viene rilanciata la notizia (falsa) che il senatore sia di fede
islamica (recentemente il leader radicale dei musulmani d’America, Farrakhan,
ha espresso sostegno ad Obama, mettendolo in imbarazzo). La vicenda è stata
definita “vergognosa e offensiva” da David Plouffe, capo dello staff elettorale
di Barack Obama. Negli stessi giorni, il senatore afro-americano ha subito
anche gli attacchi dei Repubblicani che lo giudicano poco patriottico. Obama
viene punzecchiato perché non mette la mano sul cuore quando canta l’inno. E
anche la moglie Michelle, che aveva dichiarato di sentirsi solo ora orgogliosa
del suo Paese, finisce nel mirino. Insomma, nulla passa inosservato.

Anche il senatore John McCain ha il suo bel
da fare. Dopo l’articolo del New York
Times
sulla sua presunta liaison
con una lobbista, ora è la volta dei sospetti sull’uso dei fondi elettorali. Il
presidente del partito dell’Asinello, il sanguigno Howard Dean, ha affermato
che il senatore dell’Arizona non rispetta le regole da lui stesso messe a punto
in Senato. McCain, in tempi di vacche magre per la sua campagna elettorale,
aveva optato per il finanziamento pubblico, ora la preferenza va ai fondi
privati. C’è però un prestito di mezzo, chiesto dal senatore repubblicano tempo
a dietro e che, secondo Dean, impedirebbe a McCain di poter ora scegliere il
finanziamento privato. Pronta risposta del consigliere legale di McCain, Trevor
Potter: “L’accordo per il prestito con la Fidelity
& Trust Bank
è stato stabilito proprio in modo da poter dare la
possibilità al senatore di rinunciare al finanziamento pubblico durante le
primarie”. C