Anche il Pd di Bersani ha il suo Di Pietro

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Anche il Pd di Bersani ha il suo Di Pietro

24 Novembre 2009

Un partito, tre segretari e lo stesso problema: arginare l’effetto Di Pietro. Non solo in Parlamento ma soprattutto nelle piazze, un tempo avamposti esclusivi del popolo delle bandiere rosse, oggi tribune movimentiste nelle mani del Tonino-giustizialista e degli insulti del V-day di turno. E’ il dilemma (o una maledizione?) di sempre: lo è stato per Veltroni, ci ha sbattuto il naso Franceschini e ora ci fa i conti Bersani. Ma il risultato è sempre lo stesso: inseguire le fughe in avanti dipietriste per non rischiare di consegnare all’alleato la ribalta politico-mediatica della piazza e con questa una buona fetta di consenso, specialmente tra l’elettorato più duro e puro.

Dura realtà per i democrat. Ma così è. L’ultimo terreno di sfida giocato ancora una volta sul “dagli addosso al Cav” ruota attorno a una data e un evento: 5 dicembre No B-day, lanciato via Facebook da un gruppo di blogger sul quale il leader Idv ha messo subito il cappello (politico) lasciando ancora una volta i piddì nel solito pantano del chi va e chi non va, del cosa facciamo noi, del non si può stare con le mani in mano. Alla fine, Bersani ci ha messo una pezza sopra lanciando non uno ma due giorni di mobilitazione in mille piazze d’Italia (11 e 12 dicembre). Eppure, anche spostando gli addendi il risultato non cambia: Di Pietro va in piazza per primo, il Pd arriva secondo nonostante il leader Pd non accetti lezioni di antiberlusconismo da nessuno e tiri dritto con “le nostre manifestazioni”.

Basta scorrere la cronaca più recente per capire la convivenza a corrente alternata tra Pd e Idv. Nel luglio 2008 Di Pietro cavalca l’onda di piazza Navona convocata dalla rivista Micromega contro le “leggi canaglia” sulla giustizia. I democrat non ci sono (se non alcuni a titolo personale), ma tre mesi dopo il partito di Veltroni suona la carica al Circo Massimo contro il governo Berlusconi. Di Pietro non rinuncia alla scena e dalla stessa tribuna rivendica di aver detto molto prima le stesse cose, anche se l’importante è colpire uniti.

Che dire di Franceschini? Solo due mesi fa, dopo giorni di polemiche al fulmicotone con l’alleato sulla manifestazione in difesa della libertà di stampa messa in pericolo sempre dal Cav., sigla con Tonino il patto della carbonara: il ristorante diventa il campo neutro sul quale tentare di impostare una strategia comune. Che, alla fine, porta nella stessa piazza entrambi i leader dell’opposizione.

Tra pochi giorni la scena si riproporrà tale e quale con Di Pietro che chiederà le dimissioni di Berlusconi dal palcoscenico di turno e Bersani che una settimana dopo il “No B-day” inaugurerà la sua prima kermesse nazional-popolare da segretario puntando, invece, sugli errori del governo e le risposte del Pd.  Roba da separati in casa altro che alleati. Mancava soltanto il colpo a sorpresa che proprio oggi l’ex pm di Mani pulite consegna alle agenzie: nelle piazze del Pd ci sarà anche lui perché “tutti insieme possiamo farcela”.

Chi se lo sarebbe aspettato, i leader Pd passano, Di Pietro no.