Berlusconi non cede al ricatto dei giudici ma forse al paese serve altro
19 Settembre 2011
E’ il momento di dare un significato preciso agli eventi che stiamo vivendo in un periodo gravido di rischi per la tenuta del Paese, a partire dalle istituzioni civili e democratiche fino agli assetti economici e sociali.
Da una parte c’è un anziano signore (abbiamo compreso di chi si parla) che, come tanti della sua età, ha bisogno di conferme, soffre di un’ossessione per l’altrui sesso (aveva ragione l’ex moglie a parlare di ‘malattia’), quasi di una dipendenza, al punto di circondarsi di lenoni, prosseneti che, al pari di veri e propri pusher, gli procurano le compagnie di cui ha bisogno (senza alcuna difficoltà, perché tante sono le volontarie disponibili), allo scopo di ricevere, in cambio, benemerenze e vantaggi economici, in considerazione del potere politico e della ricchezza di cui l’anziano signore dispone. Questa persona non è né il solo, né il primo e non sarà l’ultimo ‘potente’ a cui si possono riferire siffatti stili di vita. Personalità che sono icone della democrazia e del socialismo, padri della Patria, protagonisti della Storia, capitani d’industria, grandi artisti, insigni prelati, sovrani ed imperatori hanno condotto vite del tutto conformi a quelle che si intravvedono (o si immaginano) dal buco della serratura della villa di Arcore o di Palazzo Grazioli. Basterebbe citare il celebre pensiero di Blaise Pascal a proposito del naso di Cleopatra e della sua influenza sulla storia del mondo. Ebbene, questi comportamenti discutibili, relativi alla vita privata, sono sempre rimasti protetti, in passato, dalla riservatezza, anche quando di essi si parlava con insistenza. Poi, più recentemente, la libera stampa ha svolto una benemerita funzione di indagine e di denuncia spesso rovinando promettenti carriere. Ed è un bene che esista un giornalismo di inchiesta che non guarda in faccia a nessuno. E che sia imparziale. Dallo scandalo Watergate in poi, anche se pochi sono gli imitatori, questa è diventata la regola.
Nel nostro caso, però, la realtà è ben diversa. E qui sta l’altro corno della questione- Italia. E’ ammissibile che talune Procure si pongano – pregiudizialmente e a tavolino – un assillo: come possiamo rovesciare Silvio Berlusconi e il suo governo? E pur di adempiere a questa missione abusano del potere loro conferito dalla legge, intercettandone le conversazioni e spiandone ogni momento della vita privata, con impiego massiccio di mezzi e di risorse, come se si trattasse di neutralizzare l’erede di Al Capone. Centinaia, migliaia di intercettazioni telefoniche vengono trascritte, anche se non riguardano indagini in corso, perché l’obiettivo non è quello di perseguire dei reati, ma di ‘sputtanare’ – costi quel che costi – il ‘tiranno’, ingigantendone i vizi agli occhi dell’opinione pubblica, grazie al contributo di una stampa a cui non è richiesta neppure la fatica di andarsi a cercare le notizie attraverso le inchieste, perché riceve nelle redazioni pacchi di documenti che raccolgono ogni parola, ogni frase di quelle che – dette al telefono – metterebbero in difficoltà chiunque.
Nelle intercettazioni, pubblicate su pagine e pagine dei quotidiani, i colloqui non solo non prefigurano ipotesi di reato, ma spesso non sono neppure censurabili sul piano dell’opportunità, del bon ton (pensiamo ad una telefonata tra Berlusconi e l’Arcuri). Oppure sono evidentemente delle battute goliardiche, forse discutibili ma nulla di più. C’è davvero qualcuno disposto a credere che Berlusconi parlasse sul serio quando raccontava che undici donne si erano messe in fila davanti alla sua camera da letto ma lui era riuscito ad accontentarne solo otto perché quella sera era stanco?
Questa è la sostanza: siamo in presenza di un tentativo reiterato di golpe istituzionale da parte di talune Procure ma la Spectre mediatico-giudiziaria è riuscita a far credere che il problema del Paese siano le scappatelle di Silvio Berlusconi. Il premier si è sicuramente ed imprudentemente infilato – al cospetto dell’opinione pubblica mondiale – in situazioni imbarazzanti, ha dato confidenza a personaggi che non la meritavano (che Paese quello in cui un alto ufficiale della GdF affida a Valter Lavitola una raccomandazione per ottenere una promozione !), usa al telefono un fraseggio spesso imbarazzante, è raggiungibile ovunque da signorine disinvolte e disinibite, ma ben consapevoli di un destino liberamente scelto (quando era bambino ricordo che una lavorante di mia madre – sarta – aveva un’amica che lavorava in una compagnia di varietà: parlando di lei diceva sempre che per fare quel mestiere occorreva <passare arraverso delle mani>). Ma che dire di Pierluigi Bersani che aveva uno stretto collaboratore accusato di avere messo in piedi, da Sesto S.Giovanni, un giro di tangenti così ampio e proficuo da travalicare, nei fatti, le dimensioni e le potenzialità operative della ex Stalingrado d’Italia ? Nulla. Per anni la magistratura milanese ha affossato l’inchiesta, poi riemersa ad iniziativa della Procura di Monza.
Esistono forse un migliaio di intercettazioni dei colloqui telefonici tra Bersani (o qualche altro esponente nazionale del Pd) e Penati ? No. Proprio nelle stesse ore in cui si rimetteva in moto la macchina del fango contro il Cavaliere, il gip di Milano ha respinto la richiesta di archiviazione nei suoi confronti per la telefonata tra Fassino e Consorte sul caso Unipol-Bnl. E ne ha chiesto il rinvio a giudizio. Si badi bene: la pubblicazione del colloquio fu una carognata, perché Fassino è un galantuomo e la conversazione era assolutamente normale (anche se è diventata una prova evidente di come sia possibile, attraverso le intercettazioni, distorcere la realtà e il pensiero di chi conversa al telefono). Ma almeno bisognerebbe che l’accanimento non fosse tanto marcatamente di parte da rasentare il ridicolo.
Tutto ciò premesso, che fare? Berlusconi ha deciso di non mollare. E’ questa la scelta migliore per lui e per l’operazione politica che ha saputo costruire da quando è sceso in campo? Non ne siamo sicuri. In politica non basta avere ragione; occorre anche riuscire a farsela dare. Le battaglie si vincono e si perdono. Da una battaglia persa – al centro destra la storia di questi anni lo insegna – si può uscire vincitori in un’altra occasione. Ma da una disfatta, al pari di quella che si profila, non ci si riprende più. Rimane soltanto la resa senza condizioni. Ed è vicina.