Berlusconi: via dall’Afghanistan solo dopo aver addestrato le forze locali

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Berlusconi: via dall’Afghanistan solo dopo aver addestrato le forze locali

17 Settembre 2009

"Stiamo preparando un piano per uscire dall’Afghanistan che sarà tanto più veloce quanto più efficace risulterà l’addestramento che riusciremo a dare alle forze dell’ordine locali", ha detto Silvio Berlusconi parlando della exit strategy discussa con Obama al G8. Il premier, giunto al Palazzo del Consiglio europeo a Bruxelles, ha parlato con i giornalisti spiegando che "E’ una giornata dolorosa che purtroppo ci riporta alla situazione difficile dell’Afghanistan, dove abbiamo dato e diamo tanto in termini di sacrifici umani per mantenere e far crescere una democrazia essenziale per la pace, non soltanto in quella regione ma per evitare le infiltrazioni terroristiche anche nel resto del Mondo".

Toccante la dichiarazione del presidente della Repubblica Napolitano, in visita istituzionale in Giappone: "La notizia così grave e dolorosa dell’attacco in Afghanistan e della perdita di sei nostri uomini e del ferimento di altri ha suscitato in me una profonda emozione. Desidero indirizzare in questo momento ai familiari dei caduti l’espressione del mio più sincero e accorato cordoglio, inviare un augurio ai feriti e indirizzare ai nostri valorosi che rappresentano l’Italia in questa difficile missione internazionale per la pace e la stabilità l’espressione della nostra riconoscenza e della nostra vicinanza".

I corpi dei sei soldati italiani uccisi questa mattina a Kabul in un attentato kamikaze, rivendicato poco dopo con un sms da uno dei portavoce Talebani, torneranno in Italia domani o dopodomani. I feriti, invece, ci metteranno un po’ di più anche se, ha fatto sapere il colonnello Benito Milani, vicecomandante del 186esimo reggimento della "Folgore", non versano in gravi condizioni. “La pattuglia che è stata attaccata stava svolgendo un servizio di scorta dall’aeroporto alla città – ha aggiunto Milano – era un servizio effettuato abitualmente tutti i giorni”.

Un giorno come tanti ed un servizio di scorta uguale a quello di tanti altri giorni. Se non fosse per l’autobomba che, imbottita di almeno 150 chilogrammi di esplosivo, ha colpito il convoglio di militari italiani. Questa volta a salvare i nostri soldati non è bastata la blindatura rafforzata nella parte inferiore del “Lince”, una sorta di gippone blindato in grado di affrontare terreni estremamente difficili e condizioni d’uso estreme, e che più volte ha salvato la vita ai nostri militari. La quantità di materiale esplosivo fa pensare che nel mirino degli attentatori ci fosse un obiettivo molto più grande. Si è parlato di un’ambasciata, forse quella italiana.

Il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha affermato che l’attentato “non rientra in una strategia contro gli italiani ma nei tentativi di impedire alle forze afghane e a quelle internazionali di estendere il controllo del territorio da parte del legittimo governo afghano”. Lo ha messo in chiaro nel corso dell’informativa alla Camera, quando ha preferito leggere un testo scritto per “mitigare la commozione più forte di quel che si vorrebbe mostrare”. Poco prima, l’aula di Montecitorio aveva tributato un lungo applauso in omaggio alla memoria dei sei militari caduti.

Durante il discorso, il ministro della Difesa ha spiegato che la situazione di pericolosità “è dovuta a ragioni concomitanti, anche se apparentemente diverse”. In primo luogo alle elezioni presidenziali ma, ha rilevato, “più ancora all’accresciuta azione di controllo del territorio da parte delle forze afghane e internazionali”. La Russa ha quindi ribadito che l’intento del governo è quello di restare solidale con gli organismi internazionali “che non si faranno intimidire dalla recrudescenza della violenza in Afghanistan”, ma ha anche assicurato l’impegno per rendere meno pericolosa la missione dei militari italiani in Afghanistan. “Questo – ha concluso – è il momento del cordoglio e dell’unità. Più avanti avremo il tempo e lo spazio per approfondire il significato della missione e discutere del modo di essere più vicini ai nostri soldati”.

Nelle ultime ore è caduta sul governo la solita pioggia di critiche dell’opposizione. Poco dopo la notizia della morte dei soldati italiani, la Federazione della sinistra d’alternativa (Prc, Pdci, Socialismo 2000), aveva già organizzato un sit-in di protesta contro la presenza italiana nella guerra in Afghanistan e per chiedere il ritiro immediato delle truppe. “Quelle italiane sono truppe che fanno la guerra; noi stiamo combattendo una guerra senza averla mai dichiarata”, ha aggiunto il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero. Il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, a margine dell’esecutivo nazionale che si tiene oggi a Vasto, ha dichiarato: “L’accaduto dimostra, ancora una volta, quello che noi sosteniamo da tempo: ossia che in Afghanistan è in atto una guerra guerreggiata tra opposte fazioni e per cui il Parlamento al più presto dovrà rivedere la propria posizione”.

Ma non tutte le critiche giungono dalle fila dell’opposizione. A rincarare la dose ci si è messo anche il leader della Lega Nord, Umberto Bossi. “Spero che a Natale possano venire tutti a casa” ha detto il Senatùr commentando la strage dei militari italiani a Kabul, aggiungendo che “quanto accaduto significa che è difficile esportare la democrazia”. Secondo il ministro per le Riforme, “il tentativo di portare la democrazia in Afghanistan è fallito”. “Le missioni costano un sacco di soldi – ha aggiunto – e purtroppo anche delle vite umane. Questo è sicuro. Io sono sempre dello stesso parere. A casa quanto prima”. Bossi ha quindi annunciato che su questo tema “si discuterà nel prossimo Consiglio dei Ministri”. Roberto Calderoli, il suo braccio destro e ministro per la Semplificazione normativa, già dalle prime ore del pomeriggio aveva chiesto al governo di avviare una riflessione sulla missione degli italiani in Afghanistan.

Neanche il Partito Democratico si è espresso così duramente quanto il leader della Lega. I big del Pd hanno messo da parte le divisioni congressuali e, per la prima volta dopo mesi, si sono riuniti per concordare la linea del partito dopo l’attentato di Kabul. Alla riunione hanno partecipato il segretario Dario Franceschini, Pier Luigi Bersani, l’ex ministro degli esteri Massimo D’Alema, Francesco Rutelli e l’ex ministro della Difesa Arturo Parisi, che già da stamattina aveva sollevato la necessità di aprire, dopo il momento del lutto e del dolore, una riflessione sulla missione. I democratici non vogliono il ritiro dei militari italiani dall’Afghanistan ma chiederanno al governo di promuovere nelle sedi internazionali la richiesta di una conferenza di pace per un’iniziativa politica e diplomatica internazionale che si affianchi alla presenza militare. Tutti, a quanto si apprende, hanno concordato sulla necessità di una riflessione sulla missione e già da stasera Pier Luigi Bersani, ospite di “Ballarò”, e Francesco Rutelli, a “Porta a Porta”, avanzeranno la proposta del Pd.

Una voce critica che non proviene dal mondo politico giunge dal generale Fabio Mini – ex comandante della missione Nato in Kosovo. “In Afghanistan non è necessaria tanto una exit strategy, quanto una new strategy, perché la strategia della Nato è oscura e comunque si è rivelata fallimentare”. La situazione nel Paese, secondo Mini, “è peggiorata in modo esponenziale a partire dal 2005 quando la Nato ha voluto assumere la responsabilità della sicurezza di tutto il paese con le stesse forze che aveva prima, quando doveva badare solo alla sicurezza di Kabul. Il successivo errore – continua il generale – è stato quello di sovrapporre le proprie azioni a quelle americane di Enduring Freedom, puramente di guerra. Una strategia che si è rivelata francamente fallimentare”.

“Il nostro contingente è tra i meglio equipaggiati – assicura Mini – ma esiste un punto vulnerabile che è quello della imprevedibilità degli attacchi. Bisognerebbe maturare di più la conoscenza del Paese e soprattutto far dialogare di più i nostri soldati, come quelli degli altri contingenti con la popolazione locale”. “Se la vecchia strategia non ha funzionato non è vero che non esistano alternative, ne esistono moltissime. Il presidente Obama ha cercato di intervenire, ma non ha ancora deciso se aumentare o meno il contingente. Speriamo che si sbrighi, così almeno la gente comincerà a morire per qualcosa che capisce. Francamente oggi muore e non sa neanche perché”, conclude il generale Mini.

(Fabrizia B. Maggi)