Bosnia. Si ricordano oggi i 15 anni dal massacro di Srebrenica

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Bosnia. Si ricordano oggi i 15 anni dal massacro di Srebrenica

10 Luglio 2010

Quindici anni fa in questi giorni l’Europa visse una delle pagine più nere della sua storia recente. Fra l’11 e il 18 luglio 1995 venne infatti perpetrato il massacro di Srebrenica, una delle atrocità più sconvolgenti della guerra in Bosnia Erzegovina (1992-1995), che costò la vita a 8.300 persone secondo le cifre ufficiali, mentre secondo altre fonti locali gli scomparsi sarebbero più di diecimila. In quei giorni le truppe serbo-bosniache, agli ordini del generale Mladic, entrarono nella città di Srebrenica e massacrarono la popolazione musulmana.

Quando i serbo-bosniaci irruppero in città, oltre 40.000 abitanti fuggirono verso la base dell’Onu di Potocari, a nord del centro urbano. Circa 7.000 persone riuscirono a entrare nell’area della base, presidiata da un centinaio di caschi blu olandesi che avrebbero dovuto difendere la città, dichiarata dall’Onu zona protetta. Gli altri si accamparono fuori. All’arrivo dei serbo-bosniaci i caschi blu non intervennero, mentre Mladic fece separare gli uomini da donne e bambini, che furono deportati. Gli uomini – secondo le testimonianze di sopravvissuti e secondo l’atto di accusa del Tribunale penale internazionale (Tpi) per la ex Jugoslavia che con una sentenza dell’aprile 2004 ha stabilito per primo che fu genocidio – furono passati per le armi.

I corpi degli uccisi nelle esecuzioni di massa vennero sotterrati in fosse comuni. A migliaia fuggirono nelle campagne circostanti perchè la resa, nella guerra di Bosnia, non è mai stata sinonimo di vita salva. Le milizie serbo-bosniache aprirono una gigantesca caccia e ne catturarono migliaia: in gruppi di 200-300 furono messi in fila e uccisi con sventagliate di kalashnikov. «In quattro ore il 16 luglio ne abbiamo uccisi 1.200», racconterà anni dopo davanti al Tpi, Drazen Erdemovic. All’epoca Abid Efendic aveva 54 anni, si era rifugiato nella base dei caschi blu olandesi e come tutti gli altri fu consegnato agli uomini di Mladic. Si salvò perché con la sua faccia piena di rughe sembrava un vecchio di 70 anni.

"Ho visto decine di uomini sgozzati in un campo di grano – ha raccontato – ho visto teste mozzate, ragazze violentate da decine di soldati. ‘Musulmani’, ci urlavano, ‘sono arrivati per voi i giorni neri, non c’è più Tito a proteggervi!’". L’ordine riguardava anche i ragazzi sopra i 12 anni. L’allora presidente serbo Karadzic (oggi in carcere e sotto processo) e Mladic dopoil massacro cantarono vittoria: con Srebrenica i serbi avevano conquistato oltre il 60% della Bosnia, ma, come altre volte nella storia, i serbi vincono la guerra e perdono la pace.

Proprio quella strage infatti convincerà l’allora presidente americano Bill Clinton a intervenire dopo che per oltre tre anni l’Europa aveva guardato distaccata e divisa la mattanza alle porte di casa. In pochi mesi Washington riesce a portare al tavolo di Dayton musulmani, croati e serbi, ma il risultato si limitò a sancire la divisione etnica creando un paese diviso in due entità, la Repubblica Srpska, che comprende anche Srebrenica, e la Federazione croato-musulmana. La tragedia ha pesato per anni sulla coscienza della comunità internazionale.

Per Srebrenica, nell’aprile 2002, il governo olandese di Wim Kok decise di dimettersi dopo che l’Istituto per la documentazione di guerra riconobbe la responsabilità dei politici e dei caschi blu olandesi nel non aver saputo impedire il massacro. Il comando olandese dirà poi d’aver chiesto l’intervento degli aerei Nato a difesa della città. Nell’ottobre del 1999 l’allora segretario delle Onu Kofi Annan ammise le responsabilità: "La tragedia di Srebrenica perseguiterà per sempre la nostra storia".