Capiremo meglio il ruolo di Berlino in Libia dopo le elezioni tedesche

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Capiremo meglio il ruolo di Berlino in Libia dopo le elezioni tedesche

20 Marzo 2011

La leadership politica e militare della guerra a Muammar Gheddafi porta la firma della Francia. Poi ci sono la pioggia di missili dalle navi americane, i raid dell’aviazione britannica e le basi italiane. A vario titolo sono coinvolte anche Spagna, Belgio, Danimarca. Ma questa non è la guerra della Germania. il ministro degli esteri, il liberale Guido Westerwelle, era stato molto chiaro: “Non ci saranno soldati tedeschi in nessuna operazione militare”. Infatti Berlino si è astenuta dalla votazione alla risoluzione Onu contro la Libia.

La Germania è storicamente restia ad inviare le proprie forze armate sui teatri di guerra in giro per il mondo. Il fantasma delle potenza germanica ha aleggiato per decenni sull’esercito che nella Seconda Guerra mondiale stravolse l’Europa. Attualmente l’unico contingente tedesco impegnato all’estero è quello che presidia l’Afghanistan nord-settentrionale. La Germania non poteva fare altro che partecipare ad un’operazione militare approvata praticamente da tutta la comunità internazionale. Ma dall’intervento nel “paese dei monti” sono arrivati molti guai per Angela Merkel. Dopo il raid aereo compiuto, su ordine delle forze tedesche a Kunduz il 4  settembre 2009 che è costato la vita a decine di civili, il ministro del Lavoro Franz Josef Jung, ex titolare della Difesa nel precedente governo, si era dimesso. Lo scandalo nato dall’attacco avvenuto sotto il primo governo della Merkel aveva provocato anche le dimissioni del capo dello stato maggiore dell’esercito, generale Wolfgang Schneiderhan, e del sottosegretario alla difesa, Peter Wichert.

Il ruolo così defilato dei tedeschi si spiega soprattutto guardando alla politica interna. Westerwelle teme che una posizione apertamente interventista possa penalizzare la coalizione e il suo astro nascente, ultimamente un po’ appannato.

La votazione sulla risoluzione  dell’Onu  traccia una crepa nel Vecchio continente e spinge la Germania verso oriente, allineata, almeno in questa circostanza, con Russia e Cina, all’interno del consiglio di sicurezza, di cui Berlino è membro non permanente fino a dicembre del 2012. Ma ad essere più evidente è l’allontanamento dalla Gran Bretagna e soprattutto dalla Francia. L’asse franco-tedesco è il vero motore, soprattutto sui temi economici, dell’Unione europea. Belino e Parigi dettano legge a Bruxelles e non si fanno scrupoli quando si tratta di difendere i propri interessi (per lo più convergenti) anche a scapito della Ue nel suo insieme. Ma questa volta non è andata così. 

I giornali teutonici malignano sui vicini francesi e spiegano sulle prime pagine come la posizione muscolare di Nicolas Sarkozy si ispirata da ragioni tattiche e dalle urne che si avvicinano. A questo va aggiunto che l’attivismo del Quai D’Orsay si spiega anche con motivi economici e strategici. A differenza della Francia, la Germania non ha consistenti interessi commerciali in Libia. Invece Parigi è il secondo partner commerciale del paese nordafricano e la Total aspira a prendere il ruolo dell’Eni nel settore energetico.  

L’atteggiamento poco deciso del governo tedesco può essere interpretata come una mossa che guarda alla pancia dell’elettorato tedesco.  Al ministro è mancato fino ad ora un profilo politico chiaro, e questa mancanza è stata considerata la principale ragione della sua calante popolarità. Il vice della Merkel ha adottato dall’inizio un’inclinazione pacifista nei confronti della situazione in Libia nel tentativo di conquistare l’elettorato di sinistra.

Il timore di vedersi impantanati in un altro Afghanistan, una missione che la maggior parte della popolazione tedesca condanna, spinge l’intero arco parlamentare tedesco a tenersi lontano da una presa di posizione chiara. Anche l’SPD, il partito socialdemocratico e i Verdi, principali forze dell’opposizione, hanno dichiarato che l’attacco è una buona iniziativa, ma che tutto sommato anche l’astensione della Germania, che non lo impediva, non è male: «È positivo che l’astensione della Germania non blocchi la risoluzione», ha detto Jürgen Trittin, leader dei Verdi, «posso condividere lo scetticismo, e per questo l’astensione è stata la scelta adeguata», ha assicurato Sigmar Gabriel, segretario dell’SPD.

Sicuramente la Francia e la Gran Bretagna non sono entusiaste dell’astensione tedesca.  Se lo scopo dei tedeschi era semplicemente quello di non andarsi a sporcare le mani con un altro conflitto, l’astensione in seno al Consiglio di Sicurezza è fin troppo perentoria, sarebbe bastato non partecipare alla seduta. Un eccesso di prudenza che è la conseguenza delle imminenti elezioni. La paura del voto sta spingendo la cancelleria tedesca a rincorrere l’elettorato. Prima del balbettio sull’attacco alla Libia c’era già stato il caotico dibattito riguardo al nucleare. È comunque probabile che l’astensione della Germania non sia l’ultima parola.

Come ha ripetuto questa mattina Rupert Polenz, presidente della commissione esteri nel Bundestag, in varie interviste con i media tedeschi, “credo che non sia stata pronunciata ancora l’ultima parola”, ha detto Polenz, ricordando che la risoluzione deve ancora essere discussa nell’ambito dell’Unione Europea. Si lascia aperta la possibilità di un cambio di tendenza in futuro. Magari dopo le elezioni. Questo pomeriggio Merkel aveva gia confermato la sua presenza a Parigi al vertice libico convocato da Sarkozy: “l’astensione non si deve scambiare per neutralità”, ha assicurato.