Caso Cucchi. La Procura protegge il supertestimone, trasferito in comunità
14 Novembre 2009
di redazione
Troppo a rischio la sua detenzione a Regina Coeli. Troppo rischioso, inoltre, un mero trasferimento dal penitenziario di via della Lungara a Roma, in un’altro penitenziario. La Procura protegge il suo supertestimone del caso Cucchi, l’immigrato senegalese che avrebbe visto agenti della polizia penitenziaria in divisa pestare a calci e pugni nei sotterranei del Tribunale di Roma, nella zona delle camere di sicurezza, il geometra romano morto il 22 ottobre scorso. S.Y., tossicodipendente, immigrato clandestino, comparso davanti al giudice per la "direttissima" con l’accusa di spaccio di droga lo stesso giorno di Stefano Cucchi, il 16 ottobre, da ieri è stato accolto, ai domiciliari, in una comunità per tossicodipendenti, nelle vicinanze di Roma.
Secondo i magistrati Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, che ieri hanno indagato per omicidio preterintenzionale tre agenti di polizia penitenziaria (Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici) e tre medici della divisione penitenziaria dell’ospedale «Pertini» per omicidio colposo (il primario Aldo Fierro, nonchè i camici bianchi Stefania Corbi e Rosita Caponetti), l’immigrato se detenuto in una struttura carceraria avrebbe potuto "subire pressioni psicologiche finalizzate alla ritrattazione ovvero al mutamento delle precedenti dichiarazioni anche in relazione allo stato di detenzione tuttora perdurante".
Da qui, dal timore di pressioni che avrebbe potuto avere dai colleghi degli agenti accusati del pestaggio, la scelta della procura di concedere i domiciliari all’immigrato, pur senza fissa dimora, accolto in una struttura per la terapia alle tossicodipendenze, fino all’incidente probatorio dove la sua testimonianza sarà assunta e "cristallizzata" per avere valore di prova in dibattimento. Intanto ieri in procura sono stati sentiti due volontari di "Villa Maraini", uno dei più grandi centri antidroga di Roma. I due sanitari la mattina del 16 ottobre fecero, come al solito, il "giro" delle celle di sicurezza di Piazzale Clodio per la distribuzione del metadone a detenuti in astinenza. Ma secondo quanto si è appreso non ebbero modo di vedere e assistere Stefano Cucchi.
Intanto uno degli agenti indicati dalla procura come responsabili del pestaggio, Nicola Minichini, respinge le accuse. "Ma quali botte, quale pestaggio? A quel ragazzo abbiamo offerto anche il caffè – ha detto Minichini – e una sigaretta. Stava male e abbiamo chiamato il medico: dopo l’udienza se l’era presa con i carabinieri che lo avevano arrestato. Noi lo abbiamo avuto in consegna da loro quando è arrivato, e poi lo abbiamo dato in consegna alla scorta per il carcere". "Se c’è qualcuno che intende piantare chiodi e cercare un capro espiatorio, ha sbagliato, si scelga un’altra croce – dice il legale dell’agente, l’avvocato Dario Perugini – È fin troppo facile sbattere il mostro in prima pagina come è stato fatto per il mio assistito e i suoi colleghi. Questa vicenda è ancora all’inizio e si dovranno verificare molte cose: tanti particolari non tornano a cominciare dalle cause della morte di Stefano, al suo ricovero in ospedale. Ci sono molte zone di ombra a cominciare dal fatto che si è dato credito a un presunto ‘supertestimone’, alle parole di uno spacciatore nonchè immigrato clandestino".