Cerimonie religiose: un caso sconcertante di vessazione amministrativa

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Cerimonie religiose: un caso sconcertante di vessazione amministrativa

Cerimonie religiose: un caso sconcertante di vessazione amministrativa

12 Giugno 2020

Tratto dal Centro Studi Livatino

1Le misure limitative delle libertà fondamentali durante la pandemia. – Le misure assunte dal Governo a partire dal D.L. 25 marzo 2020 n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19) per contrastare e contenere la diffusione del virus hanno limitato la libertà religiosa, nonché gli altri diritti fondamentali costituzionalmente protetti in modo particolarmente invasivo tale da stridere con i princìpi dello Stato di diritto.

L’intero Paese ha accettato con encomiabile senso di responsabilità, in particolare nella fase più intensa di diffusione del virus, le limitazioni imposte, dimostrando quel civismo e quello spirito di legalità la cui mancanza viene spesso – talora esageratamente – addebitata al popolo italiano.

La comunità dei cattolici, consapevole della delicatezza dell’emergenza sanitaria, ha condiviso la sofferenza comune rispettando unanimemente le limitazioni imposte alla libertà del culto. Il vulnus inferto all’essenza sacramentale e comunitaria della Chiesa è stato, tuttavia, estremamente grave, sproporzionato rispetto alle effettive esigenze sanitarie, atteso che la prosecuzione della vita sacramentale della Chiesa, attuata con la prudenza che contraddistingue tradizionalmente l’operato del clero cattolico1, sarebbe stata concretamente possibile senza che si fornisse alcun incentivo alla diffusione del virus.

Significativamente S.S. Papa Francesco ha sottolineato nella Messa celebrata in Santa Marta il 17 aprile che “così non è Chiesa (…) ed è un pericolo” celebrare la Messa senza popolo, chiarendo che la situazione era accettata per via del “momento difficile”, non dovendosi però “viralizzare la Chiesa, i Sacramenti, il popolo”. L’auspicio del Pontefice era dunque di “uscire dal tunnel e non rimanere così”, almeno nella fase successiva a quella di più intensa diffusione del virus, quando i contagi sarebbero diminuiti e sarebbero riprese le varie attività sospese.

2Il rispetto della libertà religiosa. – Siamo pervenuti ora a una fase in cui – grazie all’indebolimento del virus e alla ripresa di controllo della situazione sanitaria da parte delle strutture competenti – è possibile ragionare con pacatezza degli eventi trascorsi, assumendoli come lezione di cui avvalersi per l’attuazione nel futuro di una ragionevole politica di bilanciamento delle esigenze sanitarie con il rispetto dei diritti fondamentali. Ciò appare essenziale al fine di evitare qualsiasi deriva dispotica in materia di limitazione delle libertà costituzionalmente protette.

Ci si limita in questa sede a evocare, sia pure in sintesi, il tema della libertà religiosa, che è il primo dei diritti fondamentali, senza però dimenticare che le misure adottate hanno inciso in modo sproporzionato – senza, peraltro, una copertura legislativa e senza la possibilità di un adeguato controllo giurisdizionale – sulla libertà delle persone e sulla loro facoltà di attendere persino ai doveri di solidarietà  familiare e sociale.

Con il D.L. n. 19/2020 il Governo ha dettato misure urgenti imponendo ai cittadini le restrizioni ai diritti fondamentali previsti dall’art. 1, co. 2, lett. g) ed h), riguardanti rispettivamente i) “la limitazione o sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di altra forma di ricreazione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo, ricreativo o religioso”; ii) “sospensione delle cerimonie civili e religiose, limitazione dell’ingresso nei luoghi destinati al culto”.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, ritenendo di esercitare il potere conferito dal D.L. menzionato, ha emanato una serie di decreti, tra cui i D.P.C.M. 8.03.2020, 10.04.2020 e 26.04.2020. Con essi i) si sospendevano gli eventi di tipo religioso; ii) si condizionava l’apertura dei luoghi di culto all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro; iii) si sospendevano le cerimonie religiose comprese quelle funebri (soltanto con il D.P.C.M. 26.04.2020 si consentivano le cerimonie funebri con l’esclusiva partecipazione di congiunti e, comunque, fino a un massimo di 15 persone).

3La sproporzione delle misure adottate a riguardo della libertà religiosa. – L’azione amministrativa regolata dai predetti provvedimenti rivela il completo disinteresse del Governo per la rilevanza sociale e individuale del senso religioso della popolazione, avendo inciso in modo sproporzionato sul diritto della Chiesa all’esercizio del culto e della vita sacramentale. E’ del tutto evidente, infatti, che, tramite l’interlocuzione con le autorità ecclesiastiche, la normativa avrebbe potuto – e dovuto – consentire l’esercizio del diritto di libertà religiosa, contemperandolo con la gestione prudente della situazione nel rispetto delle cautele sanitarie. Ciò avrebbe consentito il corretto bilanciamento tra il diritto alla salute, contemplato all’art. 32 della Costituzione, e l’art. 19, che prevede la libertà di manifestazione degli atti di culto.

Peraltro, allo stesso modo in cui la stessa apertura delle chiese è stata condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, non si comprende per quali ragioni non sia stata consentita la celebrazione delle cerimonie religiose adottando le medesime cautele. Anche per questo verso emerge l’illogicità della sospensione indiscriminata delle cerimonie pubbliche e la contraddittorietà dei provvedimenti amministrativi.

Occorre ancora sottolineare che il Governo ha mostrato in questa vicenda di non tener in alcun conto l’impianto normativo che regola i rapporti tra Stato e Chiesa. La legge di riforma del Concordato Lateranense, ispirata – per quanto riguarda lo Stato – ai princìpi della Carta costituzionale e, – per quanto riguarda la Chiesa – alla dichiarazione del Concilio Ecumenico Vaticano II sulla libertà religiosa, riconosce alla Chiesa Cattolica “la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale, nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica” (art. 2 L. 121/1985).

Ciò nel più generale quadro dell’essere lo Stato e la Chiesa “ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani, impegnandosi al rispetto di tale principio nei loro rapporti e alla reciproca collaborazione, per la promozione dell’uomo e il bene del Paese” (art. 1 L. 121/1985). Questo significa, in particolare, che, in materia di organizzazione e di pubblico esercizio del culto, la libertà della Chiesa è piena e non può subire limitazioni di sorta per intervento unilaterale degli organi di Governo dello Stato italiano.

Al di là degli aspetti strettamente tecnico-giuridici della vicenda – in ordine ai quali il Centro Studi Rosario Livatino ha presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale Lazio-Roma avverso i D.P.C.M. 10 aprile e 26 aprile 2020 nella parte in cui sospendevano le manifestazioni organizzate anche di carattere religioso e le cerimonie religiose – occorre mantenere ben ferme le questioni di principio, in virtù delle quali l’Autorità amministrativa non ha alcuna competenza in materia religiosa. Ciò è essenziale allo scopo di evitare eventuali derive dispotiche in sede applicativa da parte delle Autorità amministrative subordinate e delle Forze di Polizia.

4. Un episodio di vessazione amministrativa contro la libertà religiosa. – Al fine di evidenziare possibili rischi in questo settore così delicato è opportuno segnalare un episodio – che si caratterizza come una vessazione amministrativa –, avvenuto in Rivarolo Canavese presso Torino in occasione della solennità pasquale.

Il Parroco della Chiesa di San Giacomo Apostolo, avendo in precedenza diffuso un comunicato col quale ricordava ai fedeli che non ci sarebbe stata la possibilità, come negli anni precedenti, di vivere insieme le tradizionali liturgie del tempo pasquale, stava celebrando, sine populo, la Santa Messa di Pasqua insieme con altro celebrante alla presenza dei due accoliti e di sei fedeli, personalmente invitati, affinché svolgessero il servizio della lettura delle Scritture e prestassero gli altri servizi per la dignitosa officiatura del rito e per la sicurezza della chiesa.

La Polizia Municipale, avvertita da qualche improbabile zelatore della salute pubblica, “sorprendeva” – così è scritto nel verbale di Polizia – sei fedeli “disposti uno per banco e debitamente distanziati gli  uni dagli altri”, colpevoli di assistere “alla Santa Messa della festività di Pasqua (…) inginocchiati e in atteggiamento di preghiera verso l’Altare”.

A seguito dell’accertamento è stato notificato alle dieci persone “sorprese” alla funzione avviso di contestazione di illecito da parte della Città di Rivarolo per violazione dell’art. 1, co. 2 lett. g) D.L. 19/2020, con l’inflizione della pena pecuniaria per ciascuna persona nella misura di Euro 400,00.

Prescindendo dagli aspetti prettamente tecnici della contestazione – che è stata ritualmente gravata con osservazioni al Prefetto della Provincia di Torino – l’episodio è sintomatico dei rischi concreti di limitazione sproporzionata della libertà religiosa in virtù di interpretazioni estensive delle regole emanate dal Governo e dal Presidente del Consiglio.

Occorre osservare come nel caso in questione: i) era assente qualunque intento di contestazione della normativa vigente; ii) la Santa Messa era celebrata in forma privata con invito rivolto esclusivamente a fedeli determinati per lo svolgimento del servizio essenziale all’Altare e per la proclamazione della Parola di Dio; iii) era completamente assente qualsiasi rischio di contagio in virtù del rispetto rigoroso del divieto di assembramento e del criterio del distanziamento tra le persone.

La vicenda in esame costituisce il segno concreto del rischio che – sulla scia di provvedimenti di dubbia costituzionalità, incuranti della competenza esclusiva della Chiesa e irrispettosi del senso religioso dei fedeli – prendano corpo derive discrezionali delle Autorità amministrative subordinate, che potrebbero portare alla paralisi del libero esercizio del culto tramite la minaccia di sanzioni pecuniarie, anche di tipo penale, lesive della libertà religiosa.

Ciò deve valere non soltanto per le attività che concernono, all’interno delle chiese, la celebrazione del culto e l’amministrazione dei Sacramenti, ma altresì per tutte le manifestazioni esterne della religiosità popolare in cui si esprime il sentimento di fede della comunità cristiana. E’ ovvio che tali manifestazioni dovranno essere organizzate nel rigoroso rispetto delle norme cautelari che vietano assembramenti e obbligano a rispettare il criterio del distanziamento e con l’uso delle mascherine. Rispettando tali regole, però, non dovranno essere imposte limitazioni tali da impedire lo stesso svolgimento delle manifestazioni religiose nei mesi a venire.

Insegna la storia che le vessazioni amministrative sono spesso prodromiche di vere e proprie persecuzioni della libertà religiosa.