Chavez rompe con la Colombia per ricompattare il fronte bolivarista

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Chavez rompe con la Colombia per ricompattare il fronte bolivarista

30 Luglio 2009

Nel giorno del suo 55esimo compleanno il presidente venezuelano Chavez torna a fare la voce grossa contro i suoi vicini sudamericani e il nemico di Washington. “Ho ordinato il ritiro del nostro ambasciatore a Bogotà – ha detto ieri parlando in tv – Congeleremo le nostre relazioni con la Colombia, importazioni comprese”.

Due i motivi scatenanti delle nuove tensioni tra Venezuela e Colombia. Il primo è la decisione presa da Bogotà di ospitare sul proprio territorio tre basi americane destinate alla lotta contro il narcotraffico, basi che l’Ecuador aveva chiuso nel quadro della sua politica pro-bolivarista. Il secondo è la scoperta di un carico di lanciarazzi di fabbricazione svedese che l’esercito colombiano ha sequestrato durante un’operazione contro i guerriglieri delle Farc.

In entrambe i casi, Chavez vede la lunga mano degli Usa dietro l’interventismo del presidente colombiano Uribe. Gli Usa, secondo Chavez, starebbero preparando un “piano di invasione” del Venezuela e “ammassando forze militari al confine” prima dell’attacco. Per tutta risposta, Caracas ha fatto sapere che aprirà il territorio venezuelano all’aviazione russa e le sue coste alla marina di Mosca.  

Per quanto riguarda invece il carico di lanciarazzi svedesi venduti da Stoccolma a Caracas anni addietro, e da lì finite nelle mani delle Farc, Chavez ha parlato di una “grande manipolazione” orchestrata ancora una volta dagli yankee. Ma c’è poco da inventare visto che questa storia è legata ad un’altra vicenda che dimostra come ci sia uno stretto linkage tra narcotrafficanti e bolivaristi.

Parliamo dell’operazione condotta dal governo colombiano nel marzo del 2008 – uno sconfinamento dell’esercito di Bogotà in Ecuador che portò all’uccisione del numero 2 delle Farc, Raul Reyes, e alla scoperta di documenti compromettenti sull’alleanza stretta dalla guerriglia con i governi antiamericani dell’area. Quel blitz, e il sequestero dei lanciarazzi di ieri, dimostrano che Bogotà resta il pivot dell’amministrazione Usa nella parte più delicata del mondo latino-americano.

Se Obama ha raccolto l’eredità di Bush dialogando con il Brasile, il Cile, il Perù o il Costa Rica, nell’area caraibica deve fare i conti con il blocco dell’"Alba" fedele al progetto chavista: l’Ecuador del presidente Correa, la Bolivia di Morales, il Nicaragua di Ortega (oltre a Cuba, naturalmente). In questo quadro, la Colombia è un alleato sempre più essenziale per proseguire nella lotta al traffico di droga e per mantenere una effettiva presenza militare statunitense nell’area.

Resta la questione del traffico di droga. Se la Colombia è il maggior produttore di cocaina in America Latina, gli Usa sono comunque il principale consumatore. E se è impossibile immaginare a un piano di legalizzazione della droga negli Stati Uniti, Obama dovrà sostenere il “Plan Colombia” che il suo predecessore mise in atto per rafforzare il governo Uribe in Colombia.

“Il programma americano contro la droga – questa la tesi del candidato Obama nel documento “Una nuova cooperazione per le Americhe”, uscito a ridosso dell’operazione colombiana contro le Farc in Ecuador – deve essere continuato ed implementato. Appoggeremo pienamente la lotta della Colombia contro le Farc. Lavoreremo con il Governo per mettere fine al regno del terrore posto in atto dai paramilitari di destra. Appoggeremo anche il diritto della Colombia di attaccare i terroristi che cercano rifugio oltre le frontiere nazionali. Qualora fosse necessario adotteremo misure drastiche. La situazione così com’è non può andare avanti”.

Dopo la sua elezione, pur non venendo meno a questo indirizzo di principio, Obama ha spostato il tiro dalla repressione del narcotraffico a una maggiore attenzione verso le questioni sociali che attanagliano la Colombia, compreso il rispetto per i diritti umani. Tutto molto nobile anche se a qualcuno sembra un po’ troppo paternalistico.