Com’è bello odiare Ahmadinejad
04 Giugno 2008
di redazione
Sto per dire un’eresia: se Ahmadinejad non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Ovviamente esagero, ma lui è diventato la così perfetta epitome del cattivo che qualche volta non sembra vero.
Ahmadinejad non delude mai: quando ti aspetti da lui il peggio, quello puntualmente arriva. In questi giorni in Italia sono pullulate le manifestazioni di protesta contro il suo arrivo (e l’Occidentale ha giustamente aderito): lui poteva essere sfumato, ammiccante, provocatorio, poteva scegliere argomenti originali. Invece niente, il copione è stato il solito: Israele deve scomparire, l’Occidente è il pozzo di tutti i mali.
Quello che ci si apettava da lui è arrivato, tutto previsto, comprese le movenze, l’abbigliamento, lo sguardo torvo, il phisique du role. Ahamdinejad è così facile da odiare che certe volte viene il dubbio che serva a regalarsi un po’ di buona coscienza a buon mercato. Perfino D’Alema non si azzarderebbe a dire che bisogna sedersi al tavolo con lui.
Anche chi sulle questioni medio-orientali, su Israele, sull’Iraq ha posizioni vaghe e compromissorie, quando si arriva ad Ahmadinejad non ha dubbi: è brutto, sporco e cattivo. E lui sta al gioco fino al punto da sembrare certe volte una macchietta creata per soddisfare il nostro bisogno di un nemico.
Se solo un decimo delle energie spese in Italia e nel mondo per odiarlo venisse convogliato nel tentativo di imporre vere sanzioni al suo regime, isolarlo sulla scena internazionale, costringerlo a rinuciare al programma nucleare, impedire che alimenti il terrorismo in Libano e in Iraq, forse avremmo qualche compagno di strada in meno ma di certo qualche risultato in più.