Come e perché queste elezioni hanno cambiato il volto della Lombardia
29 Giugno 2009
Si è parlato nei giorni scorsi del voto di Milano spendendo qualche osservazione superficiale. Se è vero che il candidato di centrodestra Guido Podestà ha avuto una performance per certi versi spericolata, perdendo in quindici giorni una enormità di voti, la versione data da Filippo Penati (ho recuperato 160 mila voti sul mio competitore) si presta a qualche equivoco. Nel senso che il presidente della Provincia uscente non ha recuperato alcun voto, ne ha solo persi meno dell’avversario (solo “novantamila”). Anche certi ragionamenti sul voto in città (dove Penati batte Podestà) rispetto a quello dell’intorno milanese (dove Podestà batte Penati) contengono un elemento di esagerazione. Lo stesso fenomeno era già avvenuto nel 2004 tra Penati e Ombretta Colli.
Certo, allora aveva pesato una qualche antipatia di Gabriele Albertini per la presidentessa uscente della Provincia. Questa volta invece Letizia Moratti ha appoggiato caldamente Podestà e nonostante questo il risultato è stato simile al 2004. Il che indica che qualche problema di popolarità del sindaco in carica esiste. Ma il fattore decisivo è che mentre nell’intorno milanese funziona una qualche convinzione che la provincia possa servire a compensare (e limitare) il centro capoluogo, a Milano-dentro-le-mura, come si dice, nessuno ha per la testa di autolimitarsi. E, se può, chiunque preferisce andare al mare piuttosto che votare. Il voto diventa dunque principalmente politico e contano in modo decisivo le capacità di mobilitare del ceto politico. E tra il ceto politico in circolazione, nonostante la dura crisi della sinistra, c’è ancora una prevalenza degli ex comunisti nonché dei cattolici democratici, sollecitati da un arcivescovo ampiamente antipatizzante rispetto al berlusconismo, sugli attivisti del Pdl.
Insomma nel leggere il voto milanese non si deve esagerare sulle caratteristiche di un voto poco sentito a livello popolare.
In realtà il fenomeno più impressionante in Lombardia è lo spostamento della area sud della regione verso il centrodestra. Dopo la perdita della provincia di Lodi, dopo quella della città di Pavia, il centrosinistra ha perso anche il municipio di Cremona dove un sia pur popolare canoista, Oreste Perri, ha battuto Giancarlo Corada, sindaco uscente che non aveva fatto particolarmente male ed era stato per due mandati anche presidente della Provincia.
Già nel 1994 c’era stato uno scivolamento verso la Lega dell’area meridionale della Lombardia, quella dei fontanili in cui storicamente prevalgono le attività agricole. Però in quel caso si era trattato di uno stordimento da Mani pulite, di uno sbandamento. Il “ritorno” di questi anni, proprio perché è un “ritorno”, ha un carattere molto più strutturale. La frattura principale è stata determinata dal governo Prodi con la sua politica di ostilità fiscale verso i ceti medi e insieme pesa il fattore di immigrazione che sta diventando il punto critico di orientamento (l’ostilità all’immigrazione incontrollata) dei ceti popolari.
Sarebbe sbagliato leggere questi fenomeni solo come il successo della Lega neolaburista. A Pavia e a Cremona (anche alla Provincia) vincono candidati o di tradizioni cattoliche –cielline o democristiane – o più nettamente berlusconiani – come appunto Perri. Candidati che non vincono in altre realtà: vedi lo spadaccino Marco Marin a Padova o l’ex portire del Milan Giovanni Galli a Firenze. In Lombardia invece il “blocco” è più solido e vincono “tutti”.