Con questo Governo la caccia agli evasori fiscali sta dando i suoi frutti
15 Settembre 2009
di redazione
Ci sono delle buone notizie di cui non ci accorgiamo o a cui non facciamo caso abbastanza, travolti come siamo da un’informazione gridata e drogata che ci pressa con la ghiotta indiscrezione di turno o magari (e sempre più spesso) con l’ultimo pettegolezzo, tanto pruriginoso quanto insignificante. Così si corre il rischio di perdere di vista informazioni che, al contrario, possono costituire un importante criterio di giudizio per indirizzare le nostre scelte politiche.
Già durante le settimane calde dell’estate e poi di nuovo in questi giorni di settembre da un lancio di agenzia o da un articolo di cronaca veniamo sapere che la guardia di Finanza ha individuato degli evasori fiscali. Si tratta sia di evasori parziali sia, e sono i casi più rilevanti, di numerosi evasori totali. Cioè persone che pur avendo attività economiche di non piccola entità erano del tutto sconosciute al fisco.
L’evasione accertata ammonta a parecchie centinaia di milioni di euro, ma naturalmente non è facile farsi un’idea delle somme che si potranno recuperare, e dei tempi che questo richiederà. Occorre tener presente, infatti, che all’accertamento segue il contenzioso che ha un iter procedurale non brevissimo e che gli addebiti possono essere contestati dagli appellanti. Piuttosto, ed è quello che fa ben sperare, le notizie sulla scoperta di nuovi evasori si susseguono da un paio di mesi con una certa regolarità. A dimostrazione di un impegno non occasionale.
D’altra parte, l’attività investigativa della Guardia di Finanza può avere un effetto positivo che non è limitato al beneficio immediato che ne ricava l’erario, ma investe quella che possiamo chiamare la psicologia economica. L’imprenditore che paga le tasse si sente confortato dal sapere che i furbi sono perseguiti, perché vede concretamente che lo stato funziona ed è in grado di garantire il ruolo di terzietà che gli compete. Da un altro punto di vista l’imprenditore che finora ha evaso le tasse, vista l’aria che tira, può trovare conveniente "emergere", cioè regolarizzare la sua situazione. In sostanza, l’attività d’indagine sull’evasione è sinergica agli incentivi di politica tributaria messi in campo dal governo qualche tempo fa (il cosiddetto scudo fiscale).
Tuttavia le maggiori entrate in bilancio, l’emersione del sommerso e il conforto morale agli imprenditori non sono gli unici aspetti significativi che si possono dedurre dalla scoperta di nuovi evasori. Occorre, infatti, considerare anche il risvolto politico generale. A tal proposito bisogna tenere conto di una circostanza, a nostro modesto avviso, decisiva: gli accertamenti della GdF non sono stati accompagnati da stentoree dichiarazioni politiche di uomini di governo. Al contrario, tutto si è svolto e si svolge all’insegna della normale, della più normale, amministrazione. Si tratta di un atteggiamento che, in linea di principio, è quello più adeguato. Per individuare un evasore non servono roboanti affermazioni di principio, ma un’azione paziente di raccolta di informazioni, di riscontri, di verifiche. Un’attività dove contano soprattutto l’esperienza, la tenacia, la cura del particolare, che può essere svolta egregiamente da un corpo specializzato dotato di mezzi adeguati.
Se queste sono considerazioni banali, suggerite da un elementare buon senso, non si può non sottolineare come l’atteggiamento del governo attuale sul tema dell’evasione fiscale sia lontano mille miglia da quello del governo precedente. Con il Prodi bis la lotta all’evasione era diventata una sorta di obiettivo ideologico da perseguire con proclami aggressivi o facendo ricorso a misure terroristiche. L’evasore era una sorta di nemico sociale, una variante casereccia del "kulak" di staliniana memoria, da additare al pubblico ludibrio e da braccare a colpi di decreti iugulatori. Basti ricordare il famoso disegno di legge voluto, se non ricordiamo male, del sottosegretario Visco, che avrebbe limitato l’uso dei contanti alle transazioni economiche inferiori ai cento euro. In sostanza, la politica fiscale è stata un banco di prova su cui si è potuta misurare la scarsa cultura di governo che contraddistingue ancora consistenti settori del centro sinistra.
L’atteggiamento del centro destra, come si è detto, è stato finora assai più maturo. Improntato a un sano realismo pragmatico che, senza far ricorso alle grida manzoniane, colpisce l’evasione non per via politica, bensì amministrativa. Ora si tratta di completare l’opera. Non solo proseguendo nell’azione intrapresa ma, appena la situazione economica e la condizione del bilancio lo consentiranno, passando a una più incisiva politica fiscale: la riduzione delle tasse. Una bandiera che non si può ammainare.