Csm. Eletti gli 8 candidati laici, Vietti verso la vicepresidenza
29 Luglio 2010
di redazione
Il Parlamento ha eletto gli 8 membri laici del Csm, 5 espressi dalla maggioranza e 3 dall’opposizione, con Michele Vietti dell’Udc che si accredita come il favorito per il ruolo di vicepresidente, la cui scelta spetta comunque al Plenum del Consiglio.
Tra i colpi di scena maturati nella notte c’è il siluramento del candidato finiano, Antonino Lo Presti, e dei professori Vincenzo Scordamaglia e Lorenzo D’Avack, indicati come vicini a Gianni Letta, nonché di due personalità vicine a Niccolò Ghedini e al ministro Angelino Alfano. Uno scontro si è verificato anche nel Pd, con Ignazio Marino che non ha votato i due esponenti indicati dal partito, contestando il metodo con cui sono stati scelti.
La giornata è iniziata alle 8,30 proprio con la riunione dei parlamentari Democratici, ai quali è stato comunicato che i due nomi "in quota" Pd erano Guido Calvi, avvocato dei Ds e vicino a D’Alema, e il professore Glauco Giostra, di area cattolica. Marino ha subito contestato la scelta: "Il Pd commette un errore quando riconduce sempre le sue scelte alle solite culture, il Pci e la Dc", ha detto il senatore che ha anche criticato il "metodo". Alla fine solo quattro i contrari e sei gli astenuti sui 300 parlamentari.
Ma all’annuncio di Marino della sua scheda bianca in aula, Bersani ha replicato con una nota: "Non si possono accettare posizioni difformi" da quelle votate dai gruppi, per "un basilare principio di lealtà" verso il voto dei parlamentari. Parole che possono alludere a provvedimenti disciplinari. Il capogruppo Dario Franceschini, alla riunione, ha spiegato il motivo per cui il Pd ha scelto di appoggiare Michele Vietti nella corsa alla vicepresidenza.
Visto che l’orientamento dei membri togati è moderato, se si vuole evitare l’elezione al posto di Nicola Mancino di un laico del centrodestra, è meglio puntare sull’esponente centrista, che ha ottime chance di consenso tra i magistrati. Cosa che non avrebbe un esponente vicino al Pd. A mezzogiorno i capigruppo del Pdl hanno comunicato ai propri deputati e senatori i quattro nomi di loro spettanza, e qui sono arrivate le sorprese rispetto ai nomi dati per buoni ieri.
Via il finiano Antonino Lo Presti, così come il candidato di Gianni Letta: in ballo erano i professori Lorenzo D’Avack e Vincenzo Scordamaglia, entrambi docenti alla Lateranense, l’università del Papa. Entrano invece il professor Bartolomeo Romano, consigliere giuridico del ministro della Giustizia Alfano, e l’avvocato Filiberto Palumbo che ha assistito con Ghedini il premier nell’inchiesta di Trani Rai-Agcom. Dentro anche Annibale Marini, presidente emerito della Corte costituzionale e il costituzionalista Niccolò Zanon.
A sorpresa per la Lega andrà al Consiglio l’avvocato e parlamentare Matteo Brigandì, al posto di Mariella Ventura Sarno, stoppata dal premier in nottata con una telefonata a Bossi: i timori erano che l’età (77 anni) avessero impedito all’avvocato monzese di combattere a Palazzo dei Marescialli. Sono subito partite le polemiche. Il ministro Ignazio La Russa ha detto che Lo Presti non è stato sacrificato perchè finiano, bensì perché "troppo politico". "È falso" ha replicato Lo Presti, che ha raccontato che proprio Ghedini e Alfano gli avevano preannunciato la sua esclusione a causa dello strappo tra Fini e Berlusconi. Il loro timore espresso a Lo Presti è che possa non attenersi sempre alle indicazioni del gruppo dei laici del Csm, in particolare sul meccanismo del numero legale. Questo esiste quando sono presenti almeno 4 dei consiglieri laici, ed è l’arma in mano al centrodestra che ha 5 laici su 8, per bloccare iniziative sgradite.