D’Alema, il comunismo e i muri dell’Europa

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D’Alema, il comunismo e i muri dell’Europa

05 Novembre 2009

Ci eravamo quasi convinti che quella del comunismo fosse un’ossessione di Berlusconi. Uno spauracchio evocato dal Cav. quando il livello dello scontro ideologico in Italia si fa più duro. Abbiamo creduto che a vent’anni dalla caduta del muro di Berlino nominare a rappresentante degli Affari esteri dell’Unione europea un ex comunista come Massimo D’Alema rappresentasse, simbolicamente, il superamento definitivo del passato, l’abbattimento della cortina di ferro, la fine del Novecento. E ci siamo meravigliati non poco quando abbiamo appreso la notizia che i Paesi dell’Est europeo, con capofila la Polonia, i più anticomunisti di tutti, perché prime vittime del comunismo, per capirci, non vogliono un ex comunista come prossimo ministro degli Esteri dell’Ue.

“D’Alema è un problema”, ha dichiarato Jan Tombinski, ambasciatore della Polonia presso la Ue, “sarebbe meglio avere una persona la cui autorità non può essere contestata a causa delle sue appartenenze politiche passate”. Insomma, per una volta il peso della storia si fa sentire, pesantemente e con tutte le sue ricadute politiche, anche in Europa. In quell’Europa che molto spesso a noi non piace. Che non ci piace quando sentenzia sui valori in cui crediamo e riteniamo inviolabili, quando antepone la burocrazia alla politica. Quando annulla le differenze tra i suoi stati membri in nome di una omologazione indistinta e dannosa. Quando cede alle lusinghe del multiculturalismo e dimentica le sue origini. Quando trascura il suo ruolo e tradisce il senso del suo passato.

In Europa c’è ancora qualche muro che non è stato abbattuto, è evidente. Un muro che rimane il simbolo di una divisione che ha lacerato nel profondo questo nostro Vecchio continente e che ci ricorda che non è giusto cancellare ogni traccia di ciò che è stato, perché il tradimento della storia – è la storia stessa che lo insegna – significa costruire su fragili basi in nostro futuro. Forse il Cav. nella sua ossessiva e ripetuta evocazione della paura comunista ha capito proprio questo: che dare al passato il suo peso nella determinazione del presente è il primo passo per guardare avanti a testa alta.

Per questo – e nonostante non abbiamo pregiudiziali personali nei confronti di Massimo D’Alema, che, come ha detto anche Berlusconi, continua ad essere un “candidato forte” – di fronte alle prese di posizione dell’ambasciatore polacco non ci sentiamo di alzare voci di condanna. E per una volta comprendiamo le posizioni di coloro che hanno deciso di tener in piedi un muro.