Ddl intercettazioni, i franchi tiratori fanno lo sgambetto al Pd

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Ddl intercettazioni, i franchi tiratori fanno lo sgambetto al Pd

12 Giugno 2009

 

Accuse, polemiche e protesta a colpi di cartelli esposti in Aula. Ma alla fine, il contestato disegno di legge che modifica le norme sulle intercettazioni telefoniche incassa l’ok di Montecitorio coi voti della maggioranza e pure di un manipolo di parlamentari dell’opposizione.

Il voto segreto, chiesto e ottenuto dal Pd, sicuro così di tendere una trappola al governo e aprire falle nella maggioranza (come accaduto qualche mese fa sul ddl sicurezza), in realtà si è rivelato un boomerang politico – l’ennesimo – per il partito di Franceschini.  Ai 318 sì della maggioranza (224 i contrati e un’unica astensione)  si sono aggiunti una ventina di voti in più in libera uscita dalle file dell’opposizione. Segno evidente che nonostante le barricate tirate sù dipingendo scenari apocalittici sugli effetti del provvedimento,  c’è chi nello schieramento di centrosinistra ne condivide contenuti e obiettivi, compresa la necessità di mettere un freno all’uso talvolta “selvaggio” delle intercettazioni telefoniche e mal digerisce la logica giustizialista dell’Italia dei Valori.

Ora il provvedimento passa al Senato. La prossima settimana il testo approderà in Aula insieme alla scia di polemiche che per tre giorni hanno accompagnato il dibattito alla Camera. La minoranza scarica sul governo accuse e interrogativi, l’Anm denuncia il rischio di una paralisi dell’attività investigativa, Fnsi e Fieg manifestano perplessità per la libertà di informazione e l’autonomia della professione giornalistica. Nel centrodestra, invece, è un coro di consensi per un testo che “limita gli abusi”, come spiega il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto. Gli stessi “abusi” denunciati in tempi non sospetti anche da esponenti della maggioranza che sosteneva il governo Prodi, come ad esempio per la vicenda Unipol a proposito delle intercettazioni di Fassino, D’Alema, Latorre e Consorte finite sui giornali.

 E il punto di forza delle ragioni sostenute da governo e maggioranza, sono proprio quei venti voti scappati dalla minoranza (Pd, Idv e Udc) che vanno a rafforzare le convinzioni del presidente del Consiglio (ieri presente in Aula al voto finale) e del ministro della Giustizia, Alfano. "Il voto segreto continua a premiare le nostre tesi che sono condivise anche da alcuni settori dell’opposizione” commenta il Guardasigilli. Passaggio sul quale insiste Cicchitto sottolineando che “l’allargamento della maggioranza è avvenuto perché anche in settori dell’opposizione c’era consapevolezza dell’insostenibilità di una situazione marcata da molte irregolarità e c’è stata anche una reazione di rigetto alla subalternità del Pd alla linea truculenta e forcaiola dell’Italia dei Valori”.

Idem Bocchino: il voto trasversale è anche una risposta alle “cassandre del centrosinistra che avevano ipotizzato divisioni interne alla maggioranza, che come sempre è stata compattissima”. E il vicepresidente dei senatori del Pdl Quagliariello rilancia: “E’ una legge di buon senso che tiene in equilibrio il diritto all’informazione, il diritto all’investigazione e il sacrosanto diritto alla privacy che ogni cittadino ha. E l’opposizione farebbe bene a chiedersi perché venti dei suoi membri l’hanno votata a scrutinio segreto”.

Sul piano politico, l’ok al ddl pure sottoposto alle “forche caudine” del voto segreto (che di per sé rappresenta sempre un’insidia per tutti i governi), dimostra la compattezza della maggioranza rinsaldata anche dal patto di ferro tra Berlusconi e Bossi dopo l’exploit dei due partiti al voto amministrativo.  

Il premier, dunque, mette in tasca un risultato importante, che fa il paio con la vittoria in gran parte dei Comuni e delle Province strappati alla sinistra (ora si punta dritto ai ballottaggi) e stempera l’amarezza per il mancato raggiungimento del tetto del 40% alle europee. Ritrovato il buon umore, Berlusconi accelera sulle riforme e aggiorna l’agenda di lavoro: il ddl sulle intercettazioni da chiudere in fretta al Senato per poi completare la riforma della giustizia, realizzare la separazione delle carriere tra pm e giudici e, parallelamente, incardinare l’iter delle riforme costituzionali. Tre punti-chiave del programma che un anno mezzo fa aprì la strada di Palazzo Chigi al Cav. E che adesso sono attesi alla prova del nove.  

 

L.B.