Dopo 10 anni finalmente un museo che dà lustro a Milano e all’arte italiana
12 Dicembre 2010
di Carlo Zasio
Un nastro a spirale in cemento resina nero pavimentato in verde accompagna lunghe file di visitatori nella salita ai tre piani dell’Arengario in Piazza Duomo a Milano, un richiamo nemmeno troppo velato alla scala elicoidale bronzea ideata e realizzata dall’architetto Giuseppe Momo per i Musei Vaticani nel 1932. E’questo il segno forte che Italo Rota ha voluto dare al Museo del Novecento, un progetto voluto da Salvatore Carrubba, Assessore alla Cultura della prima Giunta Albertini, e oggi, a quasi dieci anni di distanza, finalmente realizzato.
Un investimento di circa 28 milioni di euro che permette alla città di esibire 350 opere delle oltre 4.000 possedute dalle civiche raccolte d’arte a testimonianza del ruolo di assoluta protagonista che Milano ebbe nell’arte italiana del XX secolo. E di farlo riqualificando un gioiello dell’architettura razionalista che per decenni ha ospitato gli uffici dell’Azienda Provinciale del Turismo, locali sporchi e degradati dove alla rinfusa erano esposte decine di locandine sugli itinerari artistici e architettonici della città, e di Milano Sport, la Spa comunale che gestisce gli impianti sportivi cittadini, ora trasferita negli stabili della piscina Cozzi in viale Tunisia.
Il cuore di Milano, finora un po’ trasandato tra plateatici occupati da catene di ristorazione veloce e uffici fatiscenti, torna a pulsare di luce viva irradiando la città dell’opera e del pensiero dei tanti maestri che la hanno eletta patria. Boccioni, Balla, Carrà, Serafini, Soffici, Depero sono tutti rappresentati in quella che si può considerare la più ricca collezione futurista in Italia. Arturo Martini, che, giunto da Treviso a Milano per visitare l’esposizione universale del 1906, comprese tra i padiglioni la propria vocazione per la scultura, regna sovrano con la mirabile statua La sete in pietra di Finale.
Sironi, De Chirico e la metafisica sono degnamente rappresentati. Morandi, con una sua sala, è l’unico degli italiani che all’inizio del percorso è presente con un’opera nella sezione destinata a illustrare, con la collezione Jucker, l’attenzione della borghesia milanese nei confronti dell’arte internazionale. Molti i tesori finora nascosti ora visibili al pubblico: tra questi, due Gastone Novelli e un Osvlado Licini. Alla spirale di Rota, inoltre, si contrappone, quasi come faro nella lanterna, la spirale di neon realizzata da Lucio Fontana per la IX Triennale del 1951, proveniente dai depositi della Pinacoteca di Brera.
Dei tanti musei dedicati all’arte dei nostri giorni, infine, il MdN ha sicuramente un pregio: quello di rappresentare e illustrare una parte importante e significativa dell’arte italiana. In molte realtà museali contemporanee si prova un senso di spaesamento nel vedere costantemente in esposizione un’accurata selezione di arte internazionale dove spesso ricorrono gli stessi nomi. Nel nuovo museo dell’Arengario, questo non avviene. Si prova invece la gioia di riscoprire la forza dell’espressione artistica e della creatività italiane, frutto dell’inventiva dei tanti maestri che hanno trovato a Milano terreno fertile per il proprio sviluppo. Un’emozione che vale la pena provare.