DPCM, Regioni promosse, ma per la scuola le rimandiamo a settembre
26 Ottobre 2020
Il DPCM firmato dal Presidente del Consiglio non si discosta molto dalle anticipazioni circolate il giorno precedente e l’impressione è che molte osservazioni fatte a caldo restino valide, purtroppo.
Sono almeno tre i punti dolentissimi, con caratteristiche che erano apparse così surreali da indurre in più di uno dei nostri amici il sospetto che fossero volutamente esagerati, per far digerire meglio quelli veri e definitivi. Ma, salvo qualche particolare, circa il risultato finale le anticipazioni si sono ahimè rivelate veritiere.
Chiudere i ristoranti e i bar alle 18 equivale ad ammazzarli, chiuderli anche la domenica sarebbe stato come fargli il funerale completo. Sabato sera ero a cena in un ristorante della zona: si respirava un’aria di lutto e di angoscia, pur nell’immutata cortesia e professionalità del personale. “A marzo ci ho rimesso soldi, ma avevo la speranza che ne saremmo usciti, adesso, se ci tolgono la cena e la domenica, c’è solo da ammazzarsi”. Chiudere le palestre e le piscine nonostante le spese che hanno affrontato per mettersi a norma, e – dopo aver mandato una settimana fa le forze dell’ordine a verificare quanto lo fossero, con la solenne dichiarazione che chi non fosse stato trovato a norma sarebbe stato chiuso – chiuderle comunque, non è solo una barzelletta, non è solo un attacco economico alla sopravvivenza degli addetti di un settore (oltretutto a detta di molti praticamente fuori dalla casistica dei contagi), ma la dimostrazione di uno stato di confusione e di sbandamento davvero preoccupante. Fare aleggiare la minaccia di chiusura indiscriminata dei confini regionali e comunali, sia pure per il momento in forma di paternalistica “forte raccomandazione” (ma per quanto tempo, stante la pressione costante di quelli per cui ogni limitazione è sempre “troppo poco”?), senza alcuna valutazione differenziata della situazione epidemiologica dei vari territori, sa di provvedimento disperato, con tutto l’orribile seguito di autodichiarazioni, controlli e arbitri che sono connaturati a disposizioni di questo tipo.
Poi è arrivato come un refolo di vento fresco il tentativo fortemente correttivo dei presidenti di regione, Applausi? Sì, perché le controproposte su ristorazione e bar, piscine e palestre, chiusure della circolazione intercomunale e interregionale sono state l’espressione ragionevole di una forte preoccupazione per la tenuta sociale complessiva. La speranza che la sostanza delle loro proposte fosse accolta e fosse rimossa la cappa di piombo che stava per caderci addosso si è rivelata infondata. Praticamente i lockdownisti di governo sono andati avanti come un treno, nonostante che le avvertenze sulla illusorietà della strategia della “virus suppression” per via di chiusure si stiano moltiplicando (buon ultimo, se non fosse bastato l’autorevole richiamo di Giorgio Palù, virologo di portata mondiale – e basta affacciarsi su Google Scholar per verificarlo – è arrivato a ribadirlo perfino Ricciardi, consulente del ministro Speranza). Se non sbaglio, al netto di lettura più dettagliata, è stata sventata solo la chiusura festiva degli esercizi di ristorazione. È sempre qualcosa, ma veramente troppo poco rispetto alla voragine economica e sociale che si sta spalancando, connessa alla frattura crescente e tendenzialmente esplosiva tra ceti garantiti con stipendi pubblici e ceti impoveriti dal collasso del reddito da attività.
Poi ovviamente c’è tutto il resto: chi devi ricevere a casa, le feste in quanti le puoi fare, al parco sì o no e in quanti, seduti in pedi ecc. ecc.: tutto l’armamentario da 1984 in cui si crogiolano appena hanno uno spiraglio.
Ho detto tutto? No, purtroppo no. C’è una nota assai dolente nel documento predisposto dai Presidenti. E in questo caso, se non altro per par condicio, devo dire che sono molto soddisfatto se il governo non l’ha recepita.
Incomprensibilmente, e incoerentemente con l’atteggiamento generale su chiusure e vita sociale, sulla scuola le regioni hanno fatto una proposta fortemente peggiorativa di quella del governo: portare la didattica a distanza al 100% nelle scuole superiori e nelle università.
Ora, nelle università non ce n’è nessun bisogno: quelle poche attività didattiche e laboratoriali che si stanno prudentissimamente – forse anche troppo – svolgendo in presenza (e comunque assicurando una formula mista) in genere sono limitate ai corsi con meno studenti e sono predisposte in totale sicurezza quanto a distanziamento e misure di controllo e di sanificazione.
Nelle superiori tenere a casa i ragazzi in quella fascia di età e privarli completamente della relazione fisica e psicologica con l’ambiente scuola, come è stato ribadito autorevolmente più e più volte, produrrebbe un danno di proporzioni enorme nella loro formazione, indipendentemente dall’efficacia delle lezioni e delle verifiche a distanza, indipendentemente dal gap della strumentazione tecnologica e dello stato dei collegamenti da territorio a territorio, per esempio dalla montagna e dalla campagna alla città. Oltretutto anche questo fattore rischia di tradursi in un’altra mazzata per le aree interne e per i ceti sociali più svantaggiati.
Di fronte al vero punto critico, ossia l’affollamento dei trasporti, davvero l’unica reazione che le regioni sanno immaginare è l’abolizione di fatto della scuola e delle sue motivazioni profonde? che è risaputo non essere solo quelle dell’apprendimento canalizzato da un video. Qualcuno ad esempio aveva proposto –e mi pare saggiamente – scuola in presenza per il primo e l’ultimo anno e rotazione di DAD al 50% per le altre classi: una soluzione dignitosa che consentirebbe anche una programmazione e una rimodulazione in progress a seconda dei territori, della situazione dei trasporti, delle tecnologie disponibili. Davvero dobbiamo pensare che questa scorciatoia sia stata proposta perché è più facile sparare sulla scuola e sul futuro dei giovani che sul resto delle attività sociali economiche e culturali di una nazione? Conoscendo la qualità e la serietà di alcuni dei proponenti si può immaginare e fortemente sperare che deve essersi trattato solo di una valutazione affrettata: magari c’è lo spazio per valutare meglio anche questo aspetto, purché sia messo in agenda, senza far passare troppo tempo.