Ecco le cause del nostro decadimento civile e politico

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Ecco le cause del nostro decadimento civile e politico

Ecco le cause del nostro decadimento civile e politico

02 Marzo 2020

Fatti di cronaca più o meno recenti ci ricordano come nessuna categoria o istituzione sembri sottrarsi a fenomeni di corruzione e abuso di potere. Se è vero che tali miserie sono disseminate nel corso della storia dell’uomo, forse, è altresì vero che abbiamo raggiunto un livello di decadimento civile e morale di dimensioni preoccupanti.

Abbandonati tutti i principi che hanno reso possibile la nascita e lo sviluppo degli istituti su cui ci adagiamo, era inevitabile una diffusa degenerazione degli stessi. Questi sono ormai come gusci vuoti, su cui si annidano larve pronte a contendersi e spolparsi quel poco che rimane.

Un problema che ricorda, con le dovute proporzioni, quanto accadde nel periodo immediatamente antecedente la caduta dell’Impero Romano.

Nel libro di recente pubblicazione, “l’Opzione Benedetto”, l’autore, Rod Dreher, insiste sulle assonanze tra il tardo Impero Romano e l’occidente contemporaneo: “nell’Occidente moderno, anche se non lo riconosciamo, stiamo vivendo sotto il dominio dei barbari. I nostri scienziati, i nostri giudici, i nostri principi e i nostri scribi – sono tutti quanti all’opera per demolire la fede, la famiglia, il genere, persino quello che significa essere umani. I nostri barbari hanno barattato le pelli animali e lance del passato in cambio di vestiti firmati e telefoni cellulari”.

Dreher, cita un testo molto interessante dal titolo “Colleghi docenti”, scritto nel 1973 da Philipp Rieff, un docente universitario. Nel suo libro, rivolgendosi agli insegnanti costatava amaramente i frutti della perdita di memoria storica riguardo la civiltà Occidentale: “Alla fine di questo straordinario sviluppo culturale, noi moderni giungeremo alla barbarie. I barbari sono persone prive di memoria storica. La barbarie è il significato reale della contemporaneità radicale. Sciolti da tutti i passati autorevoli, progrediamo verso la barbarie, piuttosto che allontanarcene”.

Del resto, la perdita dei valori morali e religiosi, quei passati autorevoli di cui parla Rieff, è il motivo per cui non riusciamo più a indignarci e sembriamo ormai assuefatti a questo vuoto di civiltà.

Un disordine siffatto assomiglia a quello Stato ridotto ad una grande banda di ladri, poiché non retto secondo giustizia, come disse una volta Sant’Agostino d’Ippona: “Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?”.

E cos’è la giustizia? A questa domanda provò a rispondere Papa Benedetto XVI nell’Enciclica “Deus Caritas est”: “La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa è di natura etica. Così lo Stato si trova di fatto inevitabilmente di fronte all’interrogativo: come realizzare la giustizia qui ed ora? Ma questa domanda presuppone l’altra più radicale: che cosa è la giustizia? Questo è un problema che riguarda la ragione pratica; ma per poter operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell’interesse e del potere che l’abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile. In questo punto politica e fede si toccano”. (…) “La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio”.

Senza un’adesione a dei principi forti, senza una fede che alimenti la ragione, procediamo verso una società più ingiusta, in mano a dei briganti come direbbe l’Ipponate.