Ecco perché il soldato Mastella andava salvato

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Ecco perché il soldato Mastella andava salvato

10 Marzo 2008

La stagione delle candidature è la
peggiore del ciclo politico. La natura umana vi esprime il peggio di sé. E
l’attuale sistema di voto, che elimina il cuscinetto d’incertezza a lungo
assicurato dalla campagna elettorale e dall’immonda “pratica” delle preferenze,
rende le cose ancora più crude.

Quel che però in questi giorni, più
di ogni altra cosa, mi ha lasciato l’amaro in bocca è la sorte toccata a
Clemente Mastella. Se le cose non cambieranno nelle ultime ore, resterà fuori
dal Parlamento dopo aver subìto il fuggi fuggi generale delle sue truppe, e la
beffa di assistere, alla vigilia della chiusura delle liste, alla richiesta di
archiviazione per le contestazioni a suo carico avanzate a suo tempo dal pm De
Magistris.

Voglio mettere una cosa in chiaro
immediatamente. Nella scorsa legislatura, sulle decisioni più importanti, mi
sono trovato spesso in disaccordo con il Ministro della Giustizia. Non
condivido, poi, il suo modo d’intendere la lotta politica basato su una logica
dell’appartenenza quasi tribale, nell’esclusiva prospettiva della gestione del
potere. Per queste ragioni, in una situazione normale, non l’avrei voluto
compagno di lista: una cosa è il garantismo che deve applicarsi nei confronti
di tutti, altra la condivisione di una appartenenza. Sulla questione delle
intercettazioni ho difeso D’Alema, Fassino e Latorre ritenendo abnormi le
richieste della magistratura. Non mi sarei mai sognato, per questo, di poter
condividere con loro una campagna elettorale sotto il medesimo simbolo.

Non di meno, nelle sedi dove è stato
possibile e senza che alcuno me lo avesse richiesto, ho provato a spendere una
parola a favore di Clemente Mastella. E vorrei sommessamente spiegarne le
ragioni.

Le più lontane si riferiscono a un
vizio antico della nostra storia nazionale, che potrebbe definirsi “del capro
espiatorio”. In alcuni casi, come a Piazzale Loreto o ad Hammamet, tale
propensione a mondarsi la coscienza scaricando su una vittima tutte le responsabilità
di una stagione ha assunto le dimensioni di dramma storico. In altre occasioni,
grazie a Dio, non si sono raggiunte queste vette. Tuttavia, sia i grandi che i
piccoli esempi veicolano l’idea di un potere che non si è ancora secolarizzato.
Esso è avvertito come “illegittimo” e, per questo, i potenti che lo incarnano vengono
subìti, blanditi, ossequiati fin quando sono forti; mentre possono essere inopinatamente
calunniati, offesi, dileggiati appena cadono in disgrazia.

Questa dinamica si fa ancora più
crudele ed esasperata in epoca di antipolitica. Non c’è dubbio: la politica
clientelare non è una buona cosa e costituisce un freno non indifferente per lo
sviluppo del nostro Mezzogiorno. Ma per sconfiggerla servono donne e uomini
coraggiosi, disposti tutti i giorni a mettere le mani nella immondizia
dilagante nella cosa pubblica sperando di riuscire a tirarle fuori pulite. Il
rito della vittima sacrificale da rendere in omaggio alla piazza mediatica,
invece, non serve nemmeno a mondarsi la coscienza. Anzi, a qualcosa serve: una
volta annientato con la dovuta enfasi il “capro espiatorio”, il politicamente
corretto può continuare a dilagare e, alla sua ombra, può attrezzarsi una nuova
classe di prepotenti disposti a cavalcare il luogo comune per giungere ad
applicare, magari in modo appena più moderno, le stesse nefandezze contro le
quali si sono erti paladini.

Vi sono, poi, ragioni più contingenti
e occasionali che vanno considerate. Su questo terreno si è vissuto un
paradosso. La cagnara sulla presunta condotta illecita di un Ministro ha di
fatto abrogato dalla riflessione e dalla coscienza pubblica quanto accaduto in
Italia negli ultimi mesi. Quasi nessuno ricorda che se la legislatura è caduta,
ciò è dovuto in parte consistente (almeno per ciò che riguarda i motivi
occasionali) a un magistrato dichiaratamente “incompetente” il quale, non di
meno, ha potuto mettere agli arresti la moglie del Guardasigilli.

Solo qualche giorno più tardi poi, il
tribunale del riesame, con pudore ipocrita, lo ha smentito stabilendo l’obbligo
di dimora, anticamera per il definitivo annullamento del provvedimento. Io
penso che in tutta Europa questi accadimenti sarebbero stati occasione per
aprire una riflessione seria sul rapporto perverso che da quasi un ventennio vi
è tra magistratura e politica, con grave nocumento per la prima e per la
seconda. Da noi, invece, una tirata moralistica in più è bastata a sviare
l’attenzione sull’abnormità del tutto. E un ulteriore match tra la politica e
una magistratura attenta più alla visibilità che alla giustizia sembra esserselo
aggiudicato quest’ultima.

Impossibile non pensare, a questo
punto, che Mastella stia infine pagando proprio la irrisolutezza del suo
rapporto con la magistratura. L’illusione che vi fosse una strada
“contrattuale” per uscire dalla stallo, lo ha portato ad acconsentire
all’abrogazione delle parti più rilevanti della riforma Castelli. Ma questo,
evidentemente, non è stato sufficiente.

Per curiosità e irrequietezza, mi è
capitato di visitare il sito www.giustizia.it,
dove vi è un esaustivo dossier su quello che il Ministro Mastella ha fatto ma,
soprattutto, su ciò che intendeva fare. Non è un cattivo consuntivo. Il suo
successore, chiunque sarà, non potrà fare a meno di confrontarsi con esso.

Non vorrei che una delle cause della
sua sfortuna si annidi proprio in quel dossier. E ciò mi convince ancora di più
che, pur consapevoli d’imbarcare una contraddizione, il soldato Mastella andava
salvato. Speriamo di non avercene presto a pentire.

www.gaetanoquagliariello.it