Ed ora anche le Università pubbliche italiane sono in crisi

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Ed ora anche le Università pubbliche italiane sono in crisi

13 Ottobre 2008

E’ stata presentata oggi dall’on. Riccardo Migliori (Pdl) l’interrogazione sul buco di bilancio dell’Università degli Studi di Siena. Il parlamentare ha chiesto ai ministri Tremonti, Gelmini e Brunetta quali misure verranno adottate "per verificare la reale entità del disavanzo al fine di garantire il corretto funzionamento dell’Ateneo e il mantenimento dei posti di lavoro".

Secondo le stime presentate da Migliori, il buco finanziario si aggirerebbe intorno agli 80 milioni di euro. Il parlamentare indica che una delle possibili cause del deficit dell’ateneo senese sia la cattiva gestione: "Un grosso capitolo del passivo – afferma in una nota – risulterebbe essere costituito dal mancato trasferimento all’Inpdap dei contributi prelevati dagli stipendi dei dipendenti, la cui cifra si aggirerebbe intorno ai 50 milioni di euro, cui vanno aggiunti 30 milioni per penali ed interessi".

"Il citato disavanzo – aggiunge Migliori – mette a serio repentaglio il pagamento dello stipendio ai circa 1000 docenti e ai circa 1.340 dipendenti del personale non docente, in massima parte amministrativi; situazione aggravata dal fatto che l’Università degli studi di Siena nel luglio 2008, senza probabilmente averne la copertura finanziaria e nonostante i vincoli imposti dalla legge finanziaria, avrebbe stabilizzato alcune centinaia di precari con entrata in servizio dal 1o ottobre 2008".

Il caso senese pare, però, non sia l’unico: "Le università di Siena e Federico II di Napoli sono in crisi nera". Questo è quanto afferma Alessandro Mazzucco, rettore dell’università di Verona e componente della Giunta della Crui (la conferenza dei rettori degli atenei italiani).

"Siena spende il 104% dei finanziamenti statali per gli stipendi del personale. La Federico II di Napoli il 101%. Dunque hanno superato il 100% della spesa reale sul finanziamento statale", avverte il rettore. Ma la situazione di emergenza si estenderebbe ad altri 6 atenei: Bari, Cassino, Firenze, l’Orientale di Napoli, Pisa e Trieste. In questi ultimi casi, spiega Mazzucco che le spese per il personale hanno superato il 90% del finanziamento statale;  "le somme per il personale, però, sono considerate una voce di spesa virtuale, in quanto calcolata in base ad alcuni correttivi" e, quindi, la situazione potrebbe essere molto più grave.

Si aggiunge a questa grave situazione la condizione dell’università più antica del mondo, cioè Bologna. "In questo ateneo – rivela il rettore di Verona – le spese per il personale arrivano all’84% del budget messo a disposizione dallo Stato, ma c’è un caso internazionale denunciato anche dal New York Times, che ha rilevato nell’ateneo bolognese un calo dell’attività scientifica".

"Se le cose continueranno un questa direzione – ammonisce Mazzucco – senza interventi come la riduzione dei corsi di laurea, delle sedi decentrate e il blocco turn-over, nel 2010 tutte le 66 università pubbliche italiane saranno in emergenza".

Tra le conseguenze più evidenti e disastrose per il sistema della ricerca italiano: «Negli atenei italiani si arriva a tagliare fino al 40% degli stanziamenti alla ricerca. Si è investito troppo sul personale, e oggi le università non riescono più a gestirlo. E così – commenta Mazzucco – non si riesce più a far fronte a ricerca e formazione per pagare gli stipendi".

Nonostante ciò, secondo il rettore di Verona, "la ricerca in Italia resta di livello eccellente". Quanto al da farsi, il suggerimento è quello di "serrare le fila, e razionalizzare le risorse. Non bisogna cadere nel pessimismo. Nè cercare colpe. Il momento di difficoltà va affrontato con saggezza, cogliendo le opportunità per migliorare la situazione".

Il rettore di Verona sposa l’analisi del ministro dell’Istruzione, università e ricerca, Mariastella Gelmini, sul numero eccessivo di corsi di laurea attivati in passato. Sull’esempio del ministro Gelmini, Mazzucco ipotizza di "incentivare il ricorso ai contratti esterni o alle supplenze".

Poca accettazione ha avuto, invece, la proposta di trasformare le università in fondazioni. "Non escludo questa ipotesi a priori, ma per come è stata impostata la questione nella legge 133/08 non ci sarebbe nessuna novità. E soprattutto non sarebbe un passo avanti. L’ipotesi – conclude – potrebbe funzionare se formulata all’interno di un progetto più preciso, che diverrebbe interessante per la possibilità per gli atenei di aprirsi a partnership".