Emergenza e comunicazione, lo Stato non è un reality show
24 Ottobre 2020
I protocolli istituzionali di fronte a imprevisti o calamità non sono un gioco di società o un format televisivo. Esistono codici, procedure, regolamenti anche di riservatezza da usare nei confronti di una popolazione, quando colpita da un pericolo o da una enorme tragedia. O, nella fattispecie, da una pandemia.
La comunicazione dello Stato su ciò che sta accadendo è fondamentale: da un lato è necessario informare adeguatamente la cittadinanza in modo che ogni singolo individuo adotti i comportamenti più sicuri; dall’altro, bisogna evitare che si creino panico e allarmismo. Una roba un po’ delicata insomma, che richiederebbe competenze ben diverse da quelle da reality show dei nostri comunicatori governativi.
Tutto ciò si è sempre fatto. Uno Stato serio, con politici professionisti, lo fa.
Giulio Tremonti qualche tempo fa ne ha parlato in una trasmissione televisiva. In occasione degli ultimi potenziali pericoli di contagio – SARS o MERS – nessuno creò allarmismo ma, col “favore delle tenebre”, si prepararono i piani pandemici, si acquistarono tonnellate di materiale medico di diverso tipo. Lo Stato si era preparato: nessuno di noi lo seppe. Poi entrambe le epidemie non arrivarono a noi, e ovviamente meglio così. Ma saremmo stati pronti, senza essere stati terrorizzati.
Non puoi trasmettere insicurezza, allarmismo se non terrore al popolo: dopo non lo tieni più. Soprattutto se le cose non si risolvono bene come avresti sperato.
Questo succede quando al potere hai dei dilettanti allo sbaraglio. E i tumulti per strada stanno cominciando, ma temo sia solo un piccolo assaggio di ciò che verrà quando termineranno le briciole di aiuti statali. Avrete un popolo inferocito, spaventato e impoverito da tenere. E non è una bella situazione.