Fini ha ragione quando dice che nel Pdl vi è un deficit di iniziativa politica

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Fini ha ragione quando dice che nel Pdl vi è un deficit di iniziativa politica

16 Settembre 2009

La scoppiettante polemica aperta da Gianfranco Fini a Gubbio potrebbe essere agevolmente ricondotta alla sindrome dei fuochi d’artificio, della quale sembra soffrire la politica italiana nella fase attuale. Come nel caso di quegli stupendi spettacoli pirotecnici che affascinano i bambini assistiamo a polemiche improvvise quanto scoppiettanti  destinate a sopravvivere per pochi giorni.

Ma a ben vedere l’intervento di Fini contiene anche alcuni elementi di notevole spessore che sarebbe miope liquidare con sufficienza. Alcuni elementi sui quali è opportuno che rifletta chiunque sia interessato a comprendere l’attuale fase di evoluzione della politica italiana e del PdL in particolare. In realtà, assai più che i passaggi in materia di immigrazione, di testamento biologico per non parlare di quelli in merito alla possibile riapertura delle indagini sulle stragi di mafia, la parte più solida dell’intervento del Presidente Fini è stata l’analisi impietosa dello stato di avanzamento della costruzione del soggetto politico Popolo della Libertà.

La tesi di Fini in proposito è chiarissima: ad oggi il soggetto politico PdL, il partito a vocazione maggioritaria che (complice lo stato comatoso nel quale versa il PD) dovrebbe guidare la politica italiana per i prossimi anni non esiste (ancora). Fatti i riconoscimenti di rito ai coordinatori Fini segnala come il partito ad oggi sia solo una macchina in grado di produrre organigrammi. Siamo cioè di fronte ad un partito che nei fatti esercita la sola funzione di autoperpetuarsi. Manca qualunque iniziativa politica, mancano le stesse sedi per discutere, elaborare ed approvare strategie politiche.

Si tratta di un’accusa difficilmente contestabile. Certo non mancano le attenuanti: il partito è stato costituito meno di un anno fa, ha già dovuto affrontare scadenze assai impegnative (elezioni europee, elezioni amministrative) ed altre ancora più impegnative lo attendono (le prossime elezioni regionali, vero test per il prosieguo della legislatura). Ma ciononostante è evidente come il PdL soffra in questa fase di un deficit di iniziativa politica. Certo per un convinto sostenitore del modello maggioritario della democrazia è normale che quando un partito è al governo la sua autonoma iniziativa politica si riduca spontaneamente. In questi periodi sono il Governo stesso ed i gruppi parlamentari di maggioranza i principali soggetti incaricati di produrre iniziative per fornire risposte alle domande che provengono dalla società civile. In questo senso non abbiamo alcuna nostalgia del modello della Prima Repubblica nel quale la dialettica fra Governo e partito/i di governo era assai (troppo) vivace. Un periodo durante il quale era stato addirittura teorizzato che la figura del Presidente del Consiglio e quella del segretario del partito di maggioranza relativa (la Democrazia Cristiana) non dovessero per principio coincidere nella stessa persona! Con gli effetti sulla stabilità del sistema politico e sulla durata dei governi che ben conosciamo.

Ma ciò non equivale in alcun modo a dire che quando un partito è al governo debba entrare in letargo. Né è possibile credere che il passaggio da una democrazia dei partiti ad una democrazia degli elettori implichi un sostanziale azzeramento della capacità di iniziativa dei partiti medesimi.  I sistemi politici devono essere in grado di rispondere a dinamiche sociali e ad esigenze complesse. Ad alcune di esse è opportuno fornisca risposta l’Esecutivo (quelle che si traducono in quotidiana azione di governo); altre trovano in Parlamento la loro sede naturale (quelle che riguardano le grandi questioni di coscienza che attraversano gli schieramenti maggioranza ed opposizione); ma ve ne sono alcune (quelle sui grandi scenari strategici che il sistema dovrà affrontare nel medio periodo) che rientrano nella sfera di attività dei partiti – di maggioranza come di opposizione . E’ appunto questa la funzione insostituibile dei partiti in una democrazia maggioritaria: non solo strumenti di selezione della classe dirigente ma anche soggetti capaci di elaborare prospettive politiche di ampio respiro, in grado di orientare e dare senso alla quotidiana azione del governo e delle istituzioni.

Si tratta di una funzione essenziale per un qualunque sistema politico e che non si può pensare di delegare in toto al Governo (evidentemente distratto dalle quotidiane emergenze che deve affrontare) o ai gruppi parlamentari (evidentemente condizionati dalla necessità di garantire quotidianamente gli equilibri parlamentari interni e con i gruppi alleati). E si tratta di una questione particolarmente delicata per il nostro Paese ove si consideri che la nostra democrazia maggioritaria è ancora comunque una democrazia con coalizioni di partiti e che la Lega, alleato al governo del PdL, appare particolarmente capace di svolgere la propria funzione di agitazione politica e di elaborazione di scenari. Se l’assenza del PdL da questo terreno dovesse permanere anche nel futuro non c’è dubbio che gli attuali equilibri di governo diverrebbero assai più precari, perché sempre maggiore sarebbe lo spazio conquistato dalla Lega e sempre maggiore l’insofferenza di alcuni settori della maggioranza e dell’opinione pubblica. E proprio sul tema dell’immigrazione si possono constatare le conseguenze negative dell’assenza politica del PdL: mentre il Governo adotta le misure concrete necessarie per fronteggiare la contingenza e le singole emergenze, mentre la Lega agita in modo propagandistico le proprie bandiere, si avverte sempre più l’assenza di una visione politica sul tema, coerente con i valori di riferimento di un partito liberale e conservatore.

L’assenza del partito nell’attività di elaborazione politica strategica finisce per tradursi in un appannamento dell’immagine del Governo ed in un incentivo al rivendicazionismo sterile ed al vittimismo piagnone che talvolta sembra caratterizzare il dibattito interno al PdL. Del resto provate ad immaginare le percentuali di consenso interno che alcune delle posizioni del Presidente Fini riuscirebbe ro a raggiungere ove il PdL si fosse già dotato di adeguate sedi di confronto, di elaborazione e di approvazione delle strategie politiche.

In realtà, per il PdL l’unico modo intelligente per rispondere alle provocazioni politiche interne (Fini) ed esterne (Lega) è proprio completare il processo di costruzione del nuovo partito.