Il futuro dell’agricoltura è nelle mani di chi investe in tecnologie innovative

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Il futuro dell’agricoltura è nelle mani di chi investe in tecnologie innovative

28 Marzo 2008

Circa un ventennio fa, diverse
multinazionali dell’agri-business, allora concentrate sul mercato delle sementi
e della chimica, hanno accettato la sfida delle emergenti biotecnologie
applicate ai problemi dell’agricoltura, vedendo in queste l’unica strada per
mantenere ed incrementare i livelli produttivi raggiunti con la green revolution, ma con un occhio più
attento alla qualità dei prodotti, dell’ambiente e della sua salvaguardia.

Oggi, i 120 milioni di ettari coltivati con ogm
distribuiti un po’ su tutto il globo terrestre tra grandi e piccole aziende (7
milioni di piccoli agricoltori in India e 4 milioni in Cina) sembrano
cancellare la condanna di tipo ideologico che per lungo tempo gli è stata
inflitta (Corriere del Trentino – 16/03/2008). Se da un lato è inequivocabile
che le tecnologie innovative hanno consentito un raddoppio delle produzioni
dagli anni 70 ad oggi, dall’altro questa realtà contrasta con le paure di carestie
e pestilenze associate alle tecnologie più avanzate, di cui le piante
geneticamente modificate sono solo un’espressione, che ad oggi non si sino
ancora concretizzate. La battaglia di chi ha creduto e produce piante ogm o
tecnologicamente avanzate è di fatto vinta se si guarda alla continua crescita
delle aziende biotecnologiche del settore agroindustriale che hanno creduto in
questa strada come l’unica in grado di rispondere concretamente ad esigenze
attuali e future. Anche l’UE, incalzata
dalla WTO che considera i suoi veti sugli ogm una barriera illegale al free
trade
(Corriere Economia 17-3-2008),
dovrà prendere una decisione mediando le posizioni contrastanti degli stati
membri. Francesco Salamini, direttore del Parco Scientifico Tecnologico Padano
di Lodi, che sulle biotecnologie ha costruito il suo passato ed il suo futuro
(Corriere del Trentino del 16/3/2008) definisce la chiusura agli ogm una condanna ideologia. Tuttavia anche il contrasto ideologico che si è
voluto artificiosamente costruire tra ogm,
agricoltura locale e tipicità delle nostre produzioni, filiere produttivo-culturali a mio avviso non in
competizione, crolla di fronte ai numeri. Il grano tenero e duro sono i cereali
più coltivati in Italia, una produzione tradizionalmente destinata alla
trasformazione in pane e pasta, due elementi fondamentali della dieta
mediterranea. Ciononostante, nel 2006 sono state importate 6.9 milioni di
tonnellate di grano (68% di tenero e 32% di duro).

A queste si aggiunge un
import di prodotti a base di cereali di circa 10.7 milioni di tonnellate, un
incremento dell’8.3 % rispetto al 2005. Le associazioni degli agricoltori
cominciano ad essere esauste delle argomentazioni vacue e vorrebbero trattare
senza remore la realtà con cui bisogna confrontarsi: “il 90% della soia che importiamo arriva da Argentina e Brasile, il mais
è quasi tutto di importazione: noi gli ogm li mangiamo già”
così ha
dichiarato il presidente di Confagricoltura Federico Vecchioni, sottolineando
che sarebbe più onesto affrontare con chiarezza questa problematica al di là di
motivazioni ideologiche. Se molte delle nostre produzioni tradizionali
dipendono dalle importazioni, atteggiamenti di chiusura non aiutano. La
produzione italiana di grano nell’ultimo decennio ha subito una forte depressione
in seguito ai cambiamenti climatici ed al progredire dei fenomeni di
desertificazione nelle regioni meridionali dove, particolari eventi atmosferici
hanno amplificato gli effetti dovuti ad un più generalizzato degrado
ambientale. Le conseguenze di questi fenomeni non sono esclusivamente legate
alle produzioni agricole ma implicano più complesse conseguenze sociali quali
l’esodo dalle aree meno produttive e marginali. E’ chiaro che un’inversione di
tendenza può essere assicurata solo investendo su approcci di ricerca
innovativi, calibrati sulle particolari esigenze di sostenibilità degli
ambienti mediterranei. Questa è forse l’unica strategia per mantenere il passo
con la competitività dei sistemi agricoli più avanzati.