Il masochismo del Pd in cerca di un leader fa male anche al Paese
13 Ottobre 2009
Una volta si chiamava “la notte dei lunghi coltelli” quella fase convulsa quando nei congressi di partito si solidificavano le maggioranze e si rimescolavano le correnti per eleggere il segretario. I partiti ne uscivano stremati e feriti, gonfi di risentimenti e di rancori: i vincitori tramavano le loro vendette e gli sconfitti si preparavano alla resistenza. Per il Pd siamo quasi all’ “anno dei lunghi coltelli”.
Walter Veltroni si è dimesso il 17 febbraio scorso dicendo: “Basta farsi del male, me ne vado per il bene del partito”. Sono passati otto mesi durante i quali nel Pd hanno continuato spensieratamente a farsi del male come e forse più di prima. (Sarebbe interessante oggi chiedergliene conto se Veltroni si occupasse di altro che del superfluo).
Se una sola notte di trame e rivalità nel cuore di uno stesso partito era faticosa da recuperare pensate agli effetti sul Pd degli ultimi otto mesi. Nessun partito di una moderna democrazia, nessun partito “normale”, devolverebbe un anno della sua vita a scegliere il leader. Nessun partito al mondo sarebbe così masochista da esporre le sue viscere alla pubblica opinione per un periodo così lungo di tempo.
Eppure, dallo scorso 17 febbraio, grazie alle circonvoluzioni di uno statuto paradossale, i leader, gli iscritti, i simpatizzanti del Partito Democratico sono impegnati in una corsa a ostacoli che appare senza fine e senza senso. Anzi l’unico senso che sembra avere è quello di provocare il massimo danno al partito stesso.
Nello sforzo di coniugare in modo impacciato e insincero i cascami del vecchio e solido partito d’apparato con la sua evoluzione post-moderna, “liquida” e vagamente populista, le regole per l’elezione del segretario hanno miscelato i due modelli. Ma l’ “amalgama mal riuscita” invece di farli funzionare in sintonia li ha messi l’uno contro l’altro.
Così oggi, Pierluigi Bersani (ma sarebbe più giusto dire D’Alema) che ha ottenuto l’investitura degli “iscritti” prova a delegittimare gli “elettori” che nelle primarie potrebbero ribaltare la situazione a favore di Dario Franceschini. Ieri Luciano Violante ha detto alla Stampa: “E’ impensabile che il segretario di un partito non sia scelto dai suoi iscritti, ma dagli elettori”. Mentre D’Alema ha ipotizzato che se Franceschini vincesse le primarie gli iscritti potrebbero mollare il partito. (Andrebbe ricordato per inciso che lo statuto del Pd venne votato all’unanimità)
Insomma, conta più chi ha preso la tessera, chi frequenta le sezioni, chi ha incarichi e fa vita di partito e legge l’Unità o chi il Pd si limita a votarlo, è fan della sua pagina Facebook, va ai meet-up e legge Repubblica-on-line? E le primarie sono una risorsa democratica o un trucco per sconfiggere il partito “vero”?
E’ possibile che il maggior partito d’opposizione sia impegnato da mesi un una lotta intestina, in cui anche l’atteggiamento da tenere verso Berlusconi corrisponde a precise strategie congressuali? E’ possibile che, con tutto quello che succede, i leader del Pd, nove volte su dieci, rilascino dichiarazioni in cui si attacano e insultano a vicenda?
Non c’è dubbio che nel Pd si stia giocando una guerra totale: quella di D’Alema contro il Veltroni e il veltronismo, fattasi più acre proprio perché per interposte persone; e quella di Franceschini contro “quelli che c’erano prima”. Ma è la durata che sconcerta e che lascia il timore di vedere tutti sconfitti.
E questo in conclusione è quello che davvero ci interessa. Perché questo paese ha bisogno di una dinamica sana e trasparente tra maggioranza e opposizione. In tutti questi mesi il vuoto lasciato dal Pd si è riempito per osmosi del peggio che un sistema monco possa produrre: tutto è divenuto più opaco, i giornali si sono fatti loro stessi partito (alcuni più di quanto non lo fossero già), poteri forti e poteri occulti hanno preso piede, ambizioni personali hanno subito torsioni inattese e la politica, che ha orrore del vuoto, si è infiltrata in ogni interstizio possibile, alte magistrature comprese.
Qui non ci interessa fare “endorsement” per questo o quel candidato. Ma certo vorremmo fare un “endorsement” per la rapida riapparizione del Pd. Non è la migliore opposizione possibile ma potrebbe toccarci di molto peggio.