Il miglior programma sociale è avere un lavoro
12 Aprile 2015
di redazione
Sappiamo che tra gli economisti si fronteggiano visioni contrapposte sullo stato della nostra economia. Alesina e Giavazzi dalle colonne del Corsera di ieri hanno riproposto il taglio del costo del lavoro come perno della ripresa, battendo sulla riduzione della spesa pubblica.
Altri esperti lamentano che questa visione appare troppo appiattita sulla logiche dominante dell’austerity, evocano lo spettro del fiscal compact, ma se l’alternativa è tornare all’allegro disavanzo non sembra poi questa grande rivoluzione culturale. Ci sono poi certi guru ancora più pessimisti, convinti che il destino dell’Europa è condannato ad essere fatto di bassa crescita e calo demografico.
Per quanto ci riguarda, al momento è rilevante che il criterio dei costi e dei fabbisogni standard rientri nelle politiche di bilancio, orientandole verso un efficientamento della spesa ed una verifica costante della sua efficacia. Ma al di là dei criteri puramente economici cosa dovrebbe fare la politica per ridare fiducia ai cittadini ed elettori? La strada resta quella aperta dalla legislatura vigente, cioè dire la verità.
Gli “entitlements”, come li chiamano gli americani, non sono più qualcosa di dovuto, non sono più qualcosa di scontato, non sono più quelli garantiti in passato. Per conservare ciò che abbiamo di buono negli enti locali, nel welfare e nel sistema produttivo conviene rimboccarsi le maniche e capire che lo Stato va alleggerito, insieme alle tasse.
Dire la verità non è facile, visto che moltissimi italiani escono con le ossa rotte dopo una crisi economica durata più di una guerra mondiale. Ma bisogna farlo perché quegli stessi italiani in cuor loro sanno bene che le cose non miglioreranno se tutto resta al proprio posto, come in una vecchia polaroid in bianco e nero del passato. L’alternativa è sprigionare le forze vive del lavoro per tornare a crescere.