Il ministro Meloni: “Il Pdl? Un partito dinamico ma le quote saranno riviste”
20 Marzo 2009
Ha tante cose da dire Giorgia Meloni alla vigilia dell’ultimo congresso di An prima del trasloco nel Pdl. Pure lei come tutti gli altri ha già pronta la valigia. Ci ha sistemato dentro e con cura, valori, idee, progetti. Ma soprattutto il peso di una lunga militanza nel partito (quindici anni belli pieni, nonostante sia poco più che trentenne) che oggi la vede protagonista nei ranghi di partito come leader di Azione Giovani e in quelli del governo (è il ministro più giovane della storia repubblicana). Quella militanza che lei, orgogliosamente rivendica, e immagina come uno dei pilastri valoriali su cui costruire la casa comune dei moderati. Manda messaggi ai suoi sul senso del progetto voluto da Berlusconi e Fini; messaggi ai colleghi di Forza Italia su come il partito unico dovrà essere.
Con in mezzo una stoccata all’indirizzo dei giornali di sinistra, Repubblica in testa, sulla recente campagna che vuol riproporre lo “stracotto” di quelli di An uguale fascisti che vanno a braccetto coi naziskin. La questione in sé non l’appassiona e tuttavia registra, con una punta di sarcasmo, che“certi giornali come Repubblica o l’Unità manifestano una certa nostalgia per il fascismo, i naziskin…. Questione che nel nostro ambiente è stata chiarita ormai da un decennio, forse ciò che non hanno fatto coloro che ancora si attardano su questo”.
Il partito che si scioglie e quello che nasce. Comprende le perplessità sul fatto di “lasciare qualcosa che si sa cos’è per qualcosa di nuovo e quindi di sconosciuto”, ma la strada è segnata e lo dicono gli elettori. Semmai la vera sfida per lei è iniettare nel dna del Pdl la storia della destra italiana; che sono sì cultura e valori, ma soprattutto struttura, regole e rigore.
Non si sente né vuole diventare una dei “berluscones”, anche se nel Pdl ci crede. Mette avanti a tutto la sua appartenenza “alla destra italiana e quindici anni di militanza finalizzati alla costruzione di idee, alla valorizzazione di ideali che fanno la nostra identità”, come patrimonio da portare e da far pesare nel Popolo della Libertà dove, tra l’altro, dovrà essere “centrale l’esperienza dei movimenti giovanili che devono rappresentare una sorta di pungolo ed avere uno spazio di elaborazione politica”.
Un patrimonio da condividere. Sì ma come? “ Rimanendo noi stessi e rappresentando nel nuovo partito quel valore aggiunto che è elemento di crescita per tutti, ovviamente insieme alle altre culture e identità che si incontreranno” spiega la Meloni che boccia senza riserve chi ha detto che il Pdl deve imparare dalla Lega il concetto di militanza, cioè il premier Berlusconi: “Non sono d’accordo perché c’è chi questo rapporto col territorio e la gente lo ha costruito molto prima della Lega” scandisce il ministro che ricorda: “Noi veniamo da una storia nella quale la politica sul territorio, le sezioni aperte, le iniziative contro il degrado dei quartieri, per gli spazi di aggregazione nelle periferie le facevano i ragazzi del fronte della Gioventù per uscire dall’isolamento; non avevamo deputati, senatori o sindaci. Ed erano gli anni ’70-’80. Noi c’eravamo sul territorio quando la nostra era una realtà che si tentava di chiudere in un ghetto”. E la reazione a quello status quo è stata la proposta politica calibrata sui problemi quotidiani delle famiglie. Meloni lo sottolinea quando dice che “abbiamo risposto col radicamento, la presenza, la capacità di essere credibili attraverso le nostre idee. Ho grande rispetto per i colleghi della Lega, ma di certo non si sono inventati niente”.
Concorda invece col Cav sull’attenzione al rapporto con la gente, a forme partecipative “aperte” non necessariamente riconducibili nei confini del tesseramento. Ma anche qui la leader di Azione Giovani vuole capire che forma avrà il Pdl. C’è da capire “cosa si intende per partito leggero. Non possiamo pensare che significhi chiudere sezioni e circoli territoriali per trasferirci tutti nei salotti televisivi, perché niente può sostituire la capacità e la forza di guardarsi in faccia con la propria gente. Se invece il concetto è quello di un partito aperto, in grado di individuare nuove forme di adesione – penso ad esempio alle nuove tecnologie, ai gazebo – finalizzate ad incrementare il consenso, allora sono d’accordo”. La chiosa è eloquente: “Io preferisco parlare di partito dinamico”.
Come il passaggio sugli equilibri interni al nuovo soggetto politico, alias la ripartizione delle quote tra Fi e An (70 a 30) sul quale è categorica: “In questa fase vanno bene, ma in prospettiva futura a mio avviso devono essere superate. Anche perché una ripartizione così rigida non può certo diventare un limite per la meritocrazia e non sarebbe giusto discriminare persone che valgono in ragione di quote”.
Ma Giorgia Meloni che ruolo avrà nel Pdl, visto che la sua collega di governo Stefania Prestigiacomo guarda già oltre il triumvirato Verdini-Bondi-La Russa e annuncia la sua disponibilità a candidarsi al ruolo di coordinatrice nazionale? Risposta lapidaria: “Io non ragiono mai in termini personali, ma in termini comunitari”.