Il mondo senza gli Stati Uniti sarebbe una vera disgrazia
15 Maggio 2009
Immaginate che gli Usa abbiano un nuovo presidente. Si chiama Turner e, in campagna elettorale, promette di ritirare tutte le truppe americane stanziate in giro per il mondo, concentrandosi unicamente sulle questioni di politica interna. E’ l’incipit di “Il mondo senza gli Usa”, un docu-film girato da Mitch Anderson che contiene una serie di (vere) interviste con analisti, intellettuali, gente comune, fatte in mezzo mondo, che spiegano quali sono gli effetti della politica estera americana e cosa succederebbe se uno come Turner diventasse il nuovo inquilino della Casa Bianca.
Ad accompagnarci in questa ricerca è lo storico inglese Niall Ferguson che insegna all’università di Harvard e lavora per l’Hoover Institution. Ferguson, che è considerato un revisionista perché ha riabilitato la storia del colonialismo moderno, in particolare quello inglese, nel 2004 fu inserito nella lista dei cento personaggi più influenti al mondo da “Time”. E’ il campione della cosiddetta “storia controfattuale”, altrimenti detta “storia virtuale”, nel senso del ‘cosa accadrebbe se’ – appunto – gli Stati Uniti rinunciassero alla loro presenza nel mondo. Per Ferguson non sono le grandi forze che fanno la storia, ma gli individui, e niente è preordinato. La vittoria di un candidato come Turner, dunque, cambiarebbe radicalmente la Storia del mondo come lo conosciamo.
Senza la leadership americana, e la loro influenza diplomatica militare economica, torneremmo in un’epoca oscura. Gli Usa sono ancora la bilancia del potere globale oltre ad essere il poliziotto del mondo. Probabilmente assisteremmo a una escalation atomica fra India e Pakistan. In Afghanistan, Al Qaeda conoscerebbe un nuovo risorgimento riproponendo l’opzione del Califfato dalla Spagna all’Indonesia, mentre nuovi jihadisti sconvolgerebbero l’Iraq.
La Cina stringerebbe d’assedio Taiwan mettendo alle strette il pacifico Giappone; le due Coree ricadrebbero in una sanguinosa guerra fratricida con milioni di morti; la Russia tornerebbe ad avere un pieno controllo sull’ex spazio sovietico, mentre l’Europa prenderebbe ordini dall’asse Berlino-Parigi sempre che Francia e Germania non tornassero a scontrarsi fra loro; per non parlare dell’Africa che verrebbe abbandonata a se stessa più di quanto non lo sia già. Per non dire della libertà di commercio e delle rotte del gas e del petrolio. Sicuramente assisteremmo a una rincorsa nucleare generalizzata (Iran, Corea del Nord, e tanti altri nuovi stati-canaglia).
Le Nazioni Unite dovrebbero scordarsi lo zio Sam che, da solo, contribuisce al 22 per cento del budget onusiano. Gli Usa coprono la metà degli stanziamenti del World Food Program in 81 Paesi; circa il 17 per cento dei costi per le vaccinazioni, l’educazione e la protezione dei bambini in 157 nazioni; il 31 per cento del budget dell’Alto Commissariato per i Rifugiati che assiste circa 19 milioni di profughi. Nel 2005, Washington ha stanziato 28 miliardi di dollari in aiuti per l’estero e, durante la presidenza Bush, oltre 15 miliardi di dollari per il Piano di Emergenza contro l’Aids.
Senza contare che gli Stati Uniti sono il motore e il cervello del mondo, dalla rivoluzione informatica ai dipartimenti “Ricerca e sviluppo” della Difesa o delle multinazionali mediche e farmaceutiche. Gli Usa garantiscono, infine, il 17 per cento delle risorse del Fondo Monetario Internazionale a sostegno delle nazioni in crisi, e il 13 per cento dei programmi di aiuti della Banca Mondiale.
Forse è possibile che il mondo rimanga orfano degli Usa. Ma come ha scritto Peter Brookes, uno dei ricercatori della Heritage Foundation, “nessun’altra nazione al mondo ha mai dato tanto ricevendo così poco in cambio”.