Il risultato elettorale è frutto di mali antichi
04 Marzo 2013
di redazione
In questi giorni i commentatori sono tutti presi dalle vicende del toto governo, come ai "bei tempi" della prima repubblica. Pure, per quanto le elezioni siano oramai alle spalle, è forse opportuno analizzare le ragioni del recente risultato elettorale, proprio per non rimanere prigionieri delle schermaglie e tentare di capire come muoversi nel prossimo futuro.
Il risultato elettorale è frutto del combinato disposto di due fattori generali che sarà opportuno, sommariamente, richiamare. In primo luogo occorre ricordare che l’Italia non ha mai adeguato le proprie istituzioni alla realtà del mondo post guerra fredda. Le democrazie contemporanee si caratterizzano sempre più come democrazie governanti. Hanno sistemi politici che tendono a rafforzare gli esecutivi (rendendoli stabili ed efficaci) in modo da farne interlocutori credibili all’estero e capaci di perseguire soluzioni realistiche all’interno. Tutti i paesi europei paragonabili per dimensioni, storia e tradizioni di civiltà, all’Italia hanno sistemi politici largamente orientati in tal senso.
Non avendo mai formalizzato in precise riforme istituzionali i mutamenti che si sono manifestati di fatto durante la "seconda repubblica", il nostro paese è strutturalmente più debole. A questa prima fragilità se ne aggiunge un’altra, drammaticamente evidenziata dalla lunga crisi economica che stiamo attraversando: le democrazie del debito soffrono enormemente se non sono in grado di produrre crescita economica. L’Italia è cresciuta poco nell’ultimo ventennio; dopo l’entrata in vigore dell’euro non ha fatto le necessarie riforme strutturali, e da quando è cominciato il saldo negativo del Pil ha dovuto aumentare ancora la pressione fiscale deprimendo ulteriormente la crescita. La lunga crisi economica ha prostrato e impoverito buona parte della popolazione. Cinque anni di crisi sono una prova difficilissima per la tenuta di qualunque democrazia.
Chiarite le ragioni di fondo del risultato uscito dalle urne occorre valutare i rischi che sono davanti a noi. Il pericolo maggiore non è solo l’ingovernabilità, ma quello di un nuovo voto a breve senza aver fatto alcune necessarie aggiustature funzionali (almeno una nuova legge elettorale). Una situazione che ha fatto giustamente evocare a più di un commentatore il rischio della repubblica di Weimar; quando per insieme di fattori (compresa una grave crisi economica e una costituzione che non favoriva la democrazia governante) Hitler ha vinto le elezioni, votato da molta gente esasperata, impaurita, frustrata e che non si era preoccupata di capire le sue intenzioni.
Se questa è l’ipotesi più negativa (che va tenuta comunque presente come un utile schema di riferimento controfattuale) c’è anche un altro pericolo, non meno insidioso. La possibilità che si ripresenti una tendenza già vista in passato, che si può riassumere nella formula: "soluzioni immaginarie per problemi reali". Questa espressione epitomizza efficacemente l’attività politica della Lega. Nella crisi della prima repubblica il movimento di Bossi ha trovato consonanza con l’orientamento di larghi strati sociali, ma ha sempre dato a queste istanze uno sbocco politico inefficace. Ciò è stato vero anzitutto sul piano nazionale, ma anche in quelle realtà in cui la Lega ha tentato d’interpretare le istanze produttive, non ha mai offerto una sintesi compatibile con il sistema Italia.
Questo schema rischia di ripetersi, semmai peggiorato, con il grillismo. Il movimento animato dal noto comico persegue la decrescita, cioè un rifiuto della modernità, e una sostanziale autarchia. I voti raccolti da Grillo e soci provengono però da categorie e ceti che hanno tutt’altre esigenze. I disoccupati e i sottooccupati, le partite IVA, i cosiddetti microimprenditori non hanno nessuna prospettiva se si persegue la decrescita (felice o meno che essa sia). Mettere in chiaro da subito questa insanabile contraddizione tra voto di protesta e referente politico della protesta è una premessa indispensabile per superare l’impasse nella quale il sistema politico rischia pericolosamente d’impantanarsi.