Il virus comunista non va in vacanza. Nemmeno col bonus
16 Maggio 2020
Non c’è niente da fare: anche di fronte a una pandemia, il virus più pericoloso si conferma quello comunista. Quello per cui l’economia non è un sistema integrato nel quale la produzione di reddito e di ricchezza si riverbera dagli imprenditori ai lavoratori (tramite occupazione e livelli salariali), all’indotto, allo stesso Stato (tramite il gettito fiscale). Quello per cui dare un pesciolino a un meno abbiente è più utile che insegnarli a pescare. Quello per cui l’assistenzialismo viene prima dello sviluppo, senza capire che in assenza di sviluppo l’assistenzialismo finanziariamente non può reggere e che è la crescita economica il primo antidoto contro la povertà.
A ben vedere, questo è il filo rosso che guida il “decreto rilancio”. Ne è prova, ad esempio, la sanatoria degli immigrati voluta dal ministro Bellanova: non tanto per ragioni ideologiche (ne hanno fatte di assai simili anche i governi di centrodestra), quanto perché si è confuso un provvedimento che potrebbe aiutare nella lotta al caporalato con una misura a sostegno del comparto agricolo, cosa che non è.
Ne è prova, ancor di più, quello che è stato ribattezzato “bonus vacanze”: una misura che avrebbe potuto essere utile se congegnata come avrebbe dovuto – e cioè come iniezione di fatturato per il settore turistico – e che invece rischia di rivelarsi inutile se non addirittura dannosa in quanto pensata come contributo per la villeggiatura delle famiglie di una certa fascia reddituale. Niente di male, per carità. Semplicemente non lo si spacci come un intervento di rilancio delle imprese ricettive, perché non lo è.
Per rendercene conto, vediamo in cosa consiste questo bonus. Si tratta di un contributo per il soggiorno nelle strutture ricettive italiane, fruibile da luglio a dicembre negli alberghi e nei b&b. Ammonta a 500 euro per le famiglie da tre o più persone, a 300 euro per le coppie, a 150 euro per i singoli. Cifra stanziata 2,4 miliardi, modesta ma meglio di niente.
Però, c’è più di un però. Innanzi tutto, il funzionamento del bonus. Come detto, negli annunci doveva servire a incentivare il turismo interno e a dare ossigeno a un settore che rappresenta il 13 per cento del Pil italiano (il 30 per cento se si somma l’intero comparto ho.re.ca.) e che secondo le prime stime solo sul fronte alberghiero rischia di perdere 17 miliardi su 21 di fatturato annuo. Con ricadute enormi non solo per imprenditori e albergatori, ma anche e soprattutto per le centinaia di migliaia di persone (milioni, se si considera il macro-settore più l’indotto) che dalla ricettività traggono il proprio lavoro e dunque il proprio sostentamento.
E invece cosa hanno pensato di fare i “compagni” al governo? Innanzi tutto hanno stabilito che solo il 20 per cento del bonus verrà riscattato dal villeggiante come detrazione dall’imposta sul reddito. La quasi totalità dell’ammontare, e cioè l’80 per cento, dovrà essere anticipata dall’esercente sotto forma di sconto e poi recuperata come credito sulle successive imposte. Con involontaria ironia, a quanto pare il decreto specifica che il credito può essere ceduto a fornitori, prestatori di servizi, banche. Aspettiamo con ansia il responso del primo temerario che ci proverà!
Appena Giuseppi ci farà la grazia di farci conoscere il testo normativo, scopriremo se il mancato incasso potrà essere almeno compensato da subito nell’F24 mensile. Sta di fatto che ancora una volta si scarica sull’impresa, spesso di piccole dimensioni, il costo di un intervento sbandierato come un incentivo per il sistema economico. Si aggiunga che queste strutture applicano al cliente finale l’Iva del 10 per cento mentre per la maggior parte dei servizi acquisiti dai fornitori pagano l’imposta al 22 per cento, sicché si prospettano seri problemi di capienza per l’utilizzo dei crediti in compensazione.
Ma non finisce qui. La cifra ideologica del provvedimento sta infatti nella scelta di riservare l’accesso al bonus alle sole famiglie con ISEE non superiore ai 40mila euro. Una limitazione poco lungimirante, se l’obiettivo è quello di aiutare le imprese turistiche a passare la nottata spingendo tutti a concedersi qualche giorno di vacanza nonostante la crisi e le restrizioni. Una decisione sensata, se invece si tratta di una misura di aiuto diretto ai meno abbienti. Dal complesso della norma è evidente che siamo nella seconda fattispecie. Ma di fronte a un collasso economico di questa portata, forse sarebbe più utile aiutare gli albergatori a non licenziare che limitare ai dipendenti l’incentivo ad andare in villeggiatura.