Immigrati. Fini: “Chi difende il presepe ricordi che è pieno di extracomunitari”
07 Dicembre 2009
di redazione
"È bello che si difenda la tradizione, che si difendano il crocifisso o il presepe. Ma consentitemi una annotazione ironica: se uno guarda il presepe si dovrebbe anche rendere conto che è pieno di extracomunitari". A fare quest’osservazione è stato il presidente della Camera Gianfranco Fini nel corso del dibattito alla comunità di Capodarco dove sono presenti anche il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, e il presidente della Commissione Antimafia Giuseppe Pisanu. La battuta giunge all’indomani dall’idea di mettere un presepe in tutte le scuole, proposta avanzata da Bossi.
In un siparietto a tre è stato proprio il numero uno centrista ad aggiungere all’osservazione di Fini che nel presepe ci sono molti extracomunitari "…a partire da Gesù", e Pisanu, che aveva appena tracciato le possibile linee guida di una politica organica per l’immigrazione, ha aggiunto, a proposito di Gesù: "E ha dovuto anche chiedere asilo politico…".
Accoglienza, integrazione e cittadinanza sono stati i temi del dibattito organizzato dalla comunità Capodarco di don Vincenzo Albanese. Tra le tre personalità politiche, è stato siglato un vero e proprio "Patto di Capodarco" sul tema cruciale dell’immigrazione. "Il patto che vi propongo – ha detto Albanese – è di abbandonare i temi legati alla piccola politica e di guardare al paese e a quanti hanno problemi e necessità" a partire dagli stranieri che si trovano nel nostro Paese e che hanno bisogno di integrarsi nel tessuto sociale della nazione.
Immediata l’adesione di Pier Ferdinando Casini che ha sottolineato che "dobbiamo incominciare a ragionare per unire, perché ho paura di una politica che esaspera le paure e instilla veleni. Compito della politica è di guidare il Paese, senza sollecitare le paure di fronte all’immigrazione". Su questo aspetto, Casini ha ribadito il suo favore a una nuova disciplina della cittadinanza, che privilegi, al posto del cosiddetto ‘ius sanguinis’ lo ‘ius soli’, in modo da individuare un percorso per gli immigrati un percorso di progressiva acquisizione della cittadinanza: "Non voglio entrare nei tecnicismi, se sia megli ouna sorta di meccanismo a punto o altro. Ma sono convinto – ha proseguito Casini – che ci vuole una maturazione" di tale diritto e ciò per un senso di "appartenenza morale" di sentirsi "parte di una comunità. In ogni caso – ha concluso – il tema non è più eludibile e non si può continuare a far pensare agli italiani che gli immigrati siano diventati il 25% della popolazione quando è accertato che sono appena il 6,5".
Gli ha fatto eco il presidente della commissione Antimafia ed ex ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu (Pdl) che ha sollecitato le nostre autorità a individuare "un modello italiano di integrazione degli immigrati, visto che la nostra specificità, rispetto a Francia, Inghilterra, Olanda, Portogallo o Spagna è che il fenomeno non nasce dall’esperienza colonialistica". Pisanu ha evidenziato che "nei prossimi 30 anni per mantenere l’attuale tasso di attività della popolazione in età di lavoro e di sviluppo economico dobbiamo ricevere 2-300 mila lavoratori l’anno". Per Pisanu si tratta di un fenomeno in parte inevitabile per una Europa che rischia il declino demografico, ma è anche un’opportunità per il nostro Paese "il cui livello di benessere dipenderà sempre più dalla capacità di accoglienza e integrazione dei lavoratori stranieri". A loro, ha proseguito, dobbiamo offrire un patto "basato sulla reciprocità perché c’è un comune interesse dell’immigrato e della società ad andare d’accordo".
Un terreno, questo, che da tempo il presidente della Camera considera familiare e per questo aderisce anche lui al "Patto di Capodarco" proposto da don Vinicio Albanese: "Ma con una precisazione – spiega la terza carica dello Stato – il concetto di integrazione o piena cittadinanza è relativo certamente agli stranieri ma non deve essere limitato ad essi, bensì riguardare tutti quegli italiani che si trovano ai margini o in difficoltà. Perché – ha spiegato – l’alternativa semantica alla parola integrazione è emarginazione".
E a chi, magari nella maggioranza, alza le spalle mostrando di considerare il tema non prioritario, Fini ricorda: "Si tratta di guardare oltre la punta del proprio naso perché su certe sfide le vecchie etichettature centro-sinistra-destra sono superate. Il Patto quindi lo sottoscrivo ma lavoriamo ad una sfida ossia il tema del dovere della politica di mettere tutti in condizioni di piena cittadinanza, sia gli italiani, sempre più divisi tra chi ha e che non ha, e gli stranieri". Quanto alla cittadinanza, Fini ha ribadito l’importanza, ai fini di una piena integrazione sociale, di attribuirla a quei giovanissimi stranieri, nati o arrivati in Italia, dopo un certo periodo e tenendo anche conto dell’esperienza svizzera che prevede anche la revoca della stessa cittadinanza.
Ironizzando sulle accuse ricevute in passato di essere diventato "di sinistra", Fini ha detto di aver ascoltato "con piacere le parole del ‘compagno Pisanu’… le sfide infatti sono diverse rispetto a 20 o 30 anni fa: ora si tratta di andare oltre la fossilizzazione dell’esistente". Per Fini il principio da tenere presente è che "la cittadinanza non può essere più concessa come semplice adempimento burocratico amministrativo, bensì al termine di un percorso più partecipato di adesione ai valori di fondo della società italiana". La Lega sbaglia se guarda ad un tipo di immigrazione "di passaggio" visto che è dimostrato che una gran parte di questi stranieri "si inserisce stabilmente nel nostro Paese e va integrata nel nostro tessuto sociale accordando ad essa pieni diritti oltre che richiedendo il rispetto dei doveri". Quanto al timore espresso da alcune parti del centrodestra circa il fatto che il diritto di voto eventualmente conseguito dall’immigrato potrebbe non comportare vantaggi per tale schieramento politico, Fini ha rilanciato: "Dico al centrodestra: pensare che se domani uno straniero avrà il diritto di voto egli voterà automaticamente a sinistra è un’antentica sciocchezza che tradisce una debolezza culturale e politica: gli stranieri voteranno non in quanto stranieri ma in ragione della condivisione o meno dei soggetti e dei programmi che si presenteranno".