Immigrazione non è terrorismo ma attenti ai “Beatles” italiani
25 Agosto 2014
di redazione
"L’immigrazione è senza dubbio un enorme problema ma non ha molto a che fare con lo Stato islamico. Ci può essere un pericolo dalla Libia, ma per adesso parliamo di jihadisti nati e cresciuti in Italia". Il professor Lorenzo Vidino è uno studioso esperto in islamismo e violenza politica in Europa e Nord America. Attualmente, è senior fellow al Center for Security Studies (CSS) di Zurigo e ricercatore associato dell’ISPI. Ha insegnato in diverse università del vecchio e nuovo continente, pubblicando articoli su grandi quotidiani internazionali come il Washington Post o il Wall Street Journal. Con lui parliamo dei rischi in Italia legati al terrorismo islamico, del "jihadismo da tastiera" e di combattenti veri, del fallimento delle primavere arabe e degli errori commessi dall’Occidente negli ultimi anni.
Professore, il ministro Alfano ha detto che le autorità hanno in mano una "lista consolidata" di combattenti italiani in Siria. Chi sono?
Premesso che gli italiani andati in Siria sono pochi rispetto ai numeri di altri Paesi europei, ci sono almeno due macro-categorie da analizzare: la prima sono i "jihadisti-jihadisti", quelli che vanno a combattere con lo Stato Islamico (ex Isis, ndr) o con i gruppi legati a più stretto filo con il jihadismo internazione come Jabhat al-Nusra; la seconda categoria sono altri soggetti che invece si uniscono ad altri gruppi della resistenza siriana.
Secondo lei quanto è forte il rischio di fiancheggiatori nel nostro Paese, quanti in Italia oggi pensano che i jihadisti siano "compagni che (non) sbagliano"?
L’Islam istituzionale italiano, l’Islam delle organizzazioni anche quelle più conservatrici, è stato chiaro nella condanna dello Stato Islamico. Ci sono però dei focolai, e questo è visibile perlopiù su Internet, su Facebook, dei piccoli gruppi isolati che dimostrano simpatia per le frange più estreme della opposizione siriana. E’ chiaro che un Delnevo o un Anas El Aboubi non nascono dal nulla. Esiste un sottobosco virtuale, e non solo, che produce questi soggetti.
In che ordine di proporzioni?
Si può dire che per ogni combattente italiano che va in Siria ce ne sono altri cento che in sostanza ‘fanno il tifo’ per lui e trascorrono la giornata sulla tastiera: sono i "jihadisti da tastiera". Chi fa il salto prendendo il fucile e andando a combattere, però, come ho già detto sono pochi.
Lei cita Anas El Abboubi: marocchino di seconda generazione, elettricista, rapper, un bel giorno apre il blog Sharia4Italy (il brand è del gruppo salafita belga Sharia4, con diramazioni internazionali, ndr) e viene prima arrestato e poi rilasciato perché smanettare sul pc non è reato. Lo ritroviamo in un video girato in Siria, armato, mentre incita alla Guerra Santa a ritmo di rap. I giovani di seconda generazione come El Aboubi sono il vero pericolo?
Il dilemma per tutte le forze dell’ordine, non solo italiane, è capire quando si passa dal "jihadismo da tastiera" ad altre scelte molto più pericolose. E chiaro che, come in qualsiasi movimento politico, anche in Italia troviamo soggetti più attivi e meno attivi: chi adotta la ideologia jihadista passando la vita su Internet o anche offline a fare dell’attivismo militante, e chi invece si limita a tempo perso a sentire certi discorsi, a postare un link o delle foto.
Come si fa a individuarli prima che decidano di partire?
C’è un lavoro di monitoraggio costante svolto dalle autorità ma è difficilissimo capire quali sono i fattori che spingono alla militanza, tanto più che l’attività investigativa è complicata dal fatto che consuma tantissime risorse, che per portarla avanti servono precise autorizzazioni giudiziarie, e che seguire notte e giorno magari degli adolescenti che ogni tanto postano una foto di Bin Laden è praticamente impossibile perché comporterebbe l’utilizzo di un gran numero di personale specializzato della Digos, dei Ros e dei Servizi. Viene fatta una scelta per giudicare se un soggetto può rivelarsi pericoloso: dal profilo psicologico ad eventuali segnali come entrare in contatto con reclutatori ed operativi.
Dipende quindi dalle capacità dei nostri investigatori…
E’ certamente una questione di bravura delle autorità ma anche di ‘fortuna’: El Aboubi, per esempio, ha avuto l’idea, davvero poco furba, di presentarsi in questura a Brescia per chiedere la autorizzazione a fare una manifestazione di Sharia4Italy dove poter bruciare bandiere americane e israeliane… Ma prima di presentarsi in questura era uno sconosciuto per la Digos. E’ a volte difficile stanare chi ha simpatie jihadiste e ripeto, solo pochi tra quelli che hanno queste simpatie poi compirà atti penalmente rilevanti.
L’incriminazione, il sentirsi ‘perseguitato’ e l’aver provato l’esperienza del carcere, potrebbero aver fatto aumentare il livore, il risentimento di El Aboubi che messi insieme a ciò che si vede ogni giorno in televisione e alle chiacchiere con amici e conoscenti lo hanno spinto al ‘grande passo’?
No, nel caso di Aboubi l’idea di fare un viaggio in Siria parte molto precedentemente all’arresto. Già nell’autunno del 2012, dieci mesi prima di essere arrestato, stava cercando il contatto giusto e non parte semplicemente perché non lo trova. L’arresto non è stato il fatto scatenante della sua volontà di partire. Avere un contatto è stato lo stesso problema di Delnevo che a Genova non riesce a trovare l’aggancio giusto. In altri Paesi europei come la Germania, la Gran Bretagna, l’Olanda, il Belgio, dove la scena jihadista è più sviluppata è più facile trovare il canale per ‘arruolarsi’. In Italia siamo ancora ad una fase embrionale.
A seconda dei giorni l’Italia oscilla tra il volemose bene e il dire che gli immigrati sono tutti terroristi. Non le sembra un po’ schizofrenico?
E’ un problema di maturità di un Paese. In Italia non c’è un attenzione costante dei media sui fenomeni di cui stiamo parlando e immediatamente tutto si risolve nella emergenza immigrazione. L’immigrazione è senza dubbio un enorme problema ma non ha molto a che fare con lo Stato islamico. Ci può essere un pericolo dalla Libia, ma fino adesso come vede abbiamo parlato di soggetti vissuti in Italia e che non stanno arrivando in un barcone. (Fine della prima puntata, continua)