Intercettazioni, cricche e gelatine: ma in tribunale cosa arriva?
17 Febbraio 2010
L’altra sera l’agenzia Ansa – dico l’Ansa, non un giornaletto di gossip – ha trasmesso con evidenza un lancio con questo titolo: “G8: FATTO MASSAGGIO, HA VISTO LE STELLE”. Già il titolo ci dice che qualcosa non funziona: nessuno al mondo comprenderebbe un simile lancio d’agenzia se non fosse già completamente immerso nel calderone dello scandalo “Bertolaso”.
Ma se poi si va a leggere il testo della notizia l’effetto di straniamento risulta ancora maggiore. Si tratta dell’intercettazione tra Monica (massaggiatrice brasiliana) e Regina (l’animatrice del centro benessere) dopo l’incontro di Monica con Guido Bertolaso. Le due si dicono quanto segue. Monica: “No, tutto sicuro, non fece niente, ho fatto un massaggio meraviglioso…lui ha visto le stelle”. Regina: “Poi mi racconti…” Monica: “Non c’è niente da raccontare…non è servita la magliettina (!), ho fatto massaggio, a lui è piaciuto il resto non conta”.
Ora a parte che alla fine della lettura dell’agenzia resta ancora misterioso il collegamento del titolo tra il vertice dei paesi del G8 all’Aquila e il massaggio di Monica a Roma, l’interrogativo vero è un altro. Perché questa intercettazione (o altre dello stesso genere, come quelle tra la moglie di Verdini e l’imprenditore Riccardo Fusi) è stata autorizzata da magistrati, realizzata da funzionari di polizia giudiziaria, trascritta da funzionari della Procura, passata da non si sa chi all’agenzia Ansa e poi pubblicata su tutti i giornali?
Perché si ritiene ormai lecito e addirittura meritevole irrompere nella vita di persone che dovrebbero godere appieno della presunzione d’innocenza garantita dalla Costituzione ed esporle per intero alla pubblica curiosità, al dileggio, al piccolo gusto di rivalsa dettato dall’invidia sociale di chi viene ritenuto privilegiato?
Forse contestare questo genere di metodi, questo genere di intercettazioni, vuol dire voler ostacolare le indagini o non riconoscere il diritto dei magistrati a fare il loro lavoro? Ovvio che no. Vuol dire però prendersi il diritto di dubitare che indagini di questo genere portino risultati oltre al gigantesco polverone del loro primo impatto.
Che cosa abbiamo capito dopo giorni in cui ci siamo dilettati tra centri benessere, pranzi al circolo della caccia, voli in elicottero, suggerimenti per nomine pubbliche, guerre d’appalti tra ditte concorrenti, camere d’albergo e mal di schiena? Pochissimo o nulla. Mettiamoci anche le orribili risate degli imprenditori pronti a calare sull’Abruzzo terremotato, le cifre mirabolanti per questo o quell’intervento, il tono cinico e avido di certi discorsi, tutto quello che volete. Ma anche questo serve davvero alle indagini o finisce solo stimolare nell’opinione pubblica la voglia di sangue, di teste che rotolano, e alla fine di giustizieri più che di giudici?
Non abbiamo nulla contro le intercettazioni utilizzate come uno dei metodi d’indagine. Ma qui i valorosi giudici fiorentini stavano guardando da tutt’altra parte: non al terremoto dell’Aquila, non al G8, non a Bertolaso, ma a vecchie vicende di appalti fiorentini. Non si intravede dietro l’inchiesta sulla protezione civile un disegno di indagine, una intelligenza investigativa, un’intuizione, un lavoro sulle carte e sui dossier, ma solo la lenta e pigra pesca a strascico delle intercettazioni telefoniche.
Ma anche guardando in quella rete, qual è il bottino? Dove sono i reati contestati? Chi avrebbe fatto cosa? Chi ha pagato, chi ha incassato, dove sono le mazzette, per che mani sono passate, di che cosa infine stiamo parlando? Credo che anche il più assiduo e appassionato compulsatore di intercettazioni farebbe fatica a rispondere. Almeno stando alle (già molte) cose che a noi comuni mortali è dato conoscere sino ad oggi.
I giornali, i talk-show, ci parlano di “cricche”, rilanciano l’idea di un sistema “gelatinoso” che distribuisce appalti e promozioni. Roba buona per i titoli di prima pagina, per l’indignazione in diretta, per una conferenza stampa di Di Pietro, magari per un saggio sociologico sulle radici della corruttela tra società civile e politica in Italia, ma per i tribunali cosa resta?
I reati e i colpevoli vanno individuati e perseguiti con tutta la severità della legge, ma quando a questi si sostituiscono le “cricche” i “sistemi” e le “gelatine” siamo propensi ad insospettirci e ad essere vigili. Una telefonata odiosa, una mezza raccomandazione, una stanza d’albergo in regalo, un massaggio, magari hanno un effetto gelatinoso ma, almeno per ora, non forniscono un quadro giudiziario convincente. Sospetto e vigilanza poi sono giustificati ancor più dal fatto che di solito in questi casi gli errori non si pagano. Vite private e reputazioni pubbliche vengono messe in gioco senza penali: avete mai visto un magistrato dimettersi per aver sbagliato un’indagine, o lo avete mai visto risarcire le sue eventuali vittime? In Italia il peggio che possa capitare a un magistrato che sbaglia è un posto in Parlamento.