Iran, dito puntato contro gli oppositori stranieri del regime khomeinista

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Iran, dito puntato contro gli oppositori stranieri del regime khomeinista

29 Agosto 2009

Sono diverse settimane, ormai, che non si vedono più manifestazioni di piazza a Teheran, ma l’Iran è sempre in subbuglio. A tenere banco, in particolare, è la decisione del regime di procedere con un processo di massa, nel tentativo di delegittimare ed umiliare gli oppositori che hanno guidato la protesta seguita alle elezioni presidenziali del 12 giugno scorso.

L’accusa principale rivolta agli imputati è di aver cospirato con l’Occidente allo scopo di fomentare una “soft revolution”, una rivoluzione di “velluto” che rovesciasse non solo il governo di Mahmoud Ahmadinejad ma l’intero sistema teocratico su cui si basa oggi la Repubblica islamica. Un’accusa basata sulle confessioni estorte con la violenza e la tortura, alcune trasmesse persino in televisione, che potrebbe costare la vita agli imputati.

Il pubblico ministero ha inoltre accusato gli imputati di avere organizzato da tempo i disordini di piazza, nel tentativo di destabilizzare il paese, seguendo le direttive di soggetti esterni all’Iran. Una delle domande loro rivolta è stata “Sei stato mandato da Michael Ledeen? Che cosa ti ha detto di fare?”, ad un altro è stato chiesto “Sei un agente di Michael Ledeen?”. Freedom Scholar alla Foundation for Defense of Democracies (FDD) di Washington, ex consulente al National Security Council ed al Dipartimento di Stato, autore di numerosi libri in materia, Michael Ledeen è considerato uno dei massimi esperti di questioni iraniane ed il suo blog “Faster, please!” è un punto di riferimento per gli addetti ai lavori (e non solo).

Ma Ledeen non è il solo chiamato in causa nei processi farsa del regime di Teheran. Con lui compaiono anche Mark Palmer ed Abbas Milani. Il primo, già Ambasciatore americano in Ungheria, è un grande esperto di dittature avendo lavorato e vissuto a lungo in Unione Sovietica, Jugoslavia ed Ungheria, ed è tra i fondatori del National Endowment for Democracy, una ONG fondata nel 1983 allo scopo di diffondere la democrazia in tutto il mondo (non a caso il suo ultimo libro si intitola Breaking the Real Axis of Evil: How to Oust the World’s Last Dictators by 2025).

Abbas Milani è professore alla Stanford University, dove dirige il programma di studi iraniani della Hoover Institution, ed è grande fautore del cambiamento democratico in Iran.

Ma perché il regime ha voluto tirare in ballo proprio questi tre personaggi? “Non ne ho idea”, ha risposto Ledeen alla domanda postagli dal Washington Times. “Siamo d’accordo su molti argomenti, ma non abbiamo mai lavorato insieme”. Addirittura il giornale ultraconservatore Keyhan ha pubblicato il 21 luglio scorso un editoriale dal titolo “Un consiglio di Khatami o istruzioni di Michael Ledeen?”. Riferendosi alla proposta avanzata dall’ex presidente riformista Mohammad Khatami durante una riunione della Combatant Clerics Society di risolvere la crisi indicendo un referendum sulla legittimità del nuovo governo, l’autore, Hossein Shariatmadari direttore responsabile del giornale, accusa l’ex presidente di “agire seguendo le istruzioni di Michael Ledeen e della CIA” e sostiene che la proposta di referendum è “parte dello scenario scritto dall’Occidente per creare una rivolta in Iran”. Shariatmadari ha fatto riferimento in particolare alla proposta avanzata tempo fa da Michael Ledeen di indire un referendum sulla legittimità della repubblica islamica nella convinzione che la maggior parte degli iraniani voterebbe contro la base teocratica del regime.

Ma non stupisce che il regime risponda in questo modo alla richiesta di consultazione popolare, che per loro rappresenta una minaccia mortale. L’ultima cosa che  i mullah vogliono, infatti, è che la voce del popolo possa farsi sentire forte e chiara, senza filtri. Per questo si sono mossi immediatamente per screditare la proposta di Khatami, e la peggior accusa che potessero lanciare contro di essa è che sia frutto di una cospirazione occidentale. Il disegno che stanno tracciando al processo farsa è che tutto il movimento spontaneo venutosi a creare all’indomani delle contestate elezioni sia in realtà frutto di manovre segrete, un sinistro complotto che ha la sua base al di fuori del paese. Con questi presupposti il processo potrebbe addirittura allargarsi fino a investire direttamente il leader dell’Onda Verde, Mir-Hossein Mousavi, lo stesso Khatami e il pragmatico conservatore, ed anch’egli ex presidente, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, che verrebbero accusati di aver cospirato contro la repubblica islamica. “Seri provvedimenti devono essere presi nei confronti dei capi dell’opposizione e dei principali istigatori degli incidenti. Coloro che hanno provocato, organizzato e attuato la dottrina nemica dovrebbero essere contrastati con fermezza”, ha detto Ahmadinejad nel sermone diffuso dalla radio di stato in occasione della tradizionale preghiera del venerdì, prefigurando la resa dei conti definitiva tra le diverse anime del regime khomeinista.

Uno scenario devastante per le speranze di libertà dei cittadini iraniani, e la dimostrazione che il regime non si lascerà abbattere facilmente. Una purga nel più classico stile staliniano, utile per eliminare tutti gli oppositori politici, e mantenere il potere attraverso la violenza e la repressione. Ma è una medaglia dalla doppia faccia, che rivela la debolezza dei mullah e la consapevolezza della mancanza di consenso nel paese, che dovrebbe indurre Europa a Stati Uniti ad offrire un concreto sostegno alla popolazione in rivolta per un cambiamento democratico in Iran.