La finanza europea non ha bisogno né di cattivi dottori né di ciarlatani

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La finanza europea non ha bisogno né di cattivi dottori né di ciarlatani

15 Febbraio 2012

Agenzie di rating, scienziati o alchimisti? E’ da molto tempo che gli economisti, in numero sempre crescente, si stanno ponendo questo dilemma. E, in termini probabilmente meno eleganti, la società comune si domanda se queste istituzioni davvero ci sono o ci fanno. E’ inutile rielencare di seguito la lunga lista delle sviste e degli errori compiuti, nel tentativo di giustificare la funzione di questi operatori, che sulla carta dovrebbe essere quella di valutare in maniera professionale, trasparente ed autonoma il merito di credito di società e stati sovrani. E’ sufficiente leggere la motivazione scritta nella dichiarazione ufficiale con la quale Moody’s, la multinazionale del rating nella quale si annida il magnate della finanza americana Warren Buffet, ha giustificato l’ennesimo ritocco al ribasso del rating di Italia, Spagna e Portogallo, con quello italiano passato da A2 a A3, con outlook negativo. E, se la minaccia di downgrading è stata espressa, è quasi una certezza che verrà attuata, nessun dubbio a riguardo.

Moody’s afferma che «le prospettive macroeconomiche europee sono sempre più deboli, fatto che minaccia l’applicazione delle misure di austerity approvate nei singoli stati e le riforme strutturali necessarie per promuovere la competitività».  Formulando la giustificazione in questo modo, l’agenzia compie il grave errore di non tenere in considerazione del fenomeno, noto in economia con la locuzione "causalità inversa", che si verifica quando l’effetto creduto rappresenta, in realtà, la causa e la causa supposta è in realtà l’effetto. Bisogna avere il coraggio di dire una volta per tutte che non sono le prospettive macroeconomiche a mettere in pericolo le riforme, ma che sono riforme economiche come quelle appena fatte a mettere in pericolo le prospettive macroeconomiche.

Il rigore dirigista imposto dalla Germania all’Unione Europea, da ormai due decenni, ha portato, finora, a danni incalcolabili alle principali economie del vecchio continente. Praticamente tutti gli stati hanno perso competitività e crescita, a causa di questo eccesso di regole. Tutti tranne uno, ovviamente quello tedesco, che tali regole si è scritte su misura per il proprio sistema economico, che infatti è decollato, mentre tutti gli altri faticano a sopravvivere. Il continuo obbligare gli stati a perseguire manovre depressive e dimagranti ha portato a recessioni mai viste nel secondo dopoguerra, crollo nei consumi e nel potere d’acquisto delle famiglie, strette creditizie e, dal punto di vista politico e sociale, a rivolte di piazza inimmaginabili solo qualche anno fa.

Le agenzie di rating hanno più volte condannato i paesi dell’area mediterranea per non aver intrapreso riforme strutturali per la riduzione del debito pubblico. E hanno degradato il loro rating. Ora che queste riforme sono state fatte, i downgrading sono continuati. Se davvero esistesse un criterio razionale e coerente nella formulazione dei giudizi, all’intrapresa delle riforme da loro richieste avrebbe dovuto succedere un upgrading, e a nulla serve il giustificare il downgrading con il peggioramento del quadro economico europeo, perché tutti sapevano che queste manovre avrebbero portato ad un peggioramento delle grandezze macroeconomiche fondamentali. Ancora, nel documento si legge che «le misure introdotte dal governo per promuovere la crescita economica richiederanno tempo per dare risultati, comunque difficili da prevedere allo stato attuale delle cose». Bisognerebbe chiedere agli autori di questo documento il motivo per il quale, se tutto ai loro occhi appare così incerto, loro nell’incertezza hanno scelto di abbassare il giudizio, piuttosto che lasciarlo inalterato.

Perché, se era così noto che il piano di riforme avrebbe richiesto molti anni per essere attuato, il downgrading iniziale non sia stato più consistente, piuttosto che centellinato in più round. Se un malato è grave, un bravo dottore, sin da subito, nella sua diagnosi, scrive che il malato è grave. E se dice che con una tal medicina il paziente può guarire, dopo che il paziente tale medicina ha assunto dovrebbe vedere i miglioramenti e quindi formulare un giudizio più positivo. Sennò delle due l’una: o non è un bravo dottore, oppure ha degli interessi a non dire la verità. La stessa conclusione alla quale si arriva guardando all’operato delle agenzie di rating. L’Europa non ha bisogno in questo momento né di cattivi dottori né di ciarlatani che tentano di vendere intrugli, anziché medicine, solo per lucrarci miliardi di dollari. Fra pochi giorni il ruolo di queste istituzioni verrà passato al vaglio del parlamento europeo, che dovrà decidere quali misure adottare per diminuire la dipendenza della finanza europea dal rating. E’ auspicabile che i nostri rappresentanti facciano capire a questi soggetti che in Europa la politica non si è fatta da parte per lasciare terreno libero alla speculazione dei mercati finanziari.