La notte del Tea Party è stata un incubo per il Presidente Obama
03 Novembre 2010
In Italia è all’incirca mezzanotte quando arriva la notizia della vittoria di Rand Paul in Kentucky. Hanno tentato di screditarlo dicendo che da giovane era entrato in una setta anti-cristiana, i cui adepti gli avrebbero somministrato una indigesta e misteriosa "Acqua di Budda". Gli elettori non se la sono bevuta. Medico dal profilo volitivo, Paul è l’icona del Tea Party e promette di limitare la presenza dello stato nella vita e nelle tasche dei cittadini americani. Speriamo che non voglia chiudere anche tutte le basi militari del mondo, come sostiene da anni il suo celebre papà – Ron Paul – senatore anche lui ma di più lungo corso. Ben presto ci sarà una resa dei conti fra la base del Tea Party e l’elite conservatrice, e si conteranno i voti e il peso di entrambi in questa vittoria alle midterm. I Paul, padre e figlio, a quel punto potrebbero alzare la voce. E stavolta dietro di loro c’è un intero movimento.
Verso le due, sempre ora italiana, circola la prima foto di Marco Rubio che alza i pollici sorridente alle telecamere. Vince in Florida, uno stato chiave per le Presidenziali di ieri e di domani. Rubio ha saputo sfruttare la polarizzazione del campo avversario, diviso fra un candidato benvoluto dall’elite clintoniana e un afroamericano che fino alla fine si è ribellato a quella scelta imposta dall’alto. Risultato: l’elettorato su base razziale dei democratici si è frantumato. Rubio, che ha origini cubano-americane, ma anche la faccia del bravo ragazzo, non ha spaventato gli ispanici. Soprattutto, ha messo d’accordo la leadership repubblicana con il Tea Party, mostrando che a puntare sui puledri di razza alla fine ci si guadagna tutti. Fra Paul e Rubio, se dovessimo scegliere, diremmo Rubio.
I Tea Party sono stati decisivi anche altrove. Nell’Arkansas, per esempio, lo stato dei Clinton, dove hanno sostenuto e fatto vincere il neosenatore John Boozman, un medico che aveva votato contro la riforma sanitaria di Obama e che si batte per i tagli al medicare. Qualcuno temeva che queste posizioni potessero indispettire gli anziani elettori repubblicani, affezionati al costoso ma necessario programma di assistenza sanitaria. Boozman li ha convinti del contrario. All’una e mezza l’ANSA batte la notizia che i repubblicani si sono presi anche il seggio senatoriale dell’Indiana. La vittoria di Dan Coats è importante perché l’Indiana era uno dei dieci seggi da strappare ai democratici per conquistare il Senato. Una cartina al tornasole di come sarebbero andate queste elezioni. Nel frattempo il repubblicano Jim DeMint conserva il suo posto di senatore in South Carolina. Sia Coats che De Mint esultano con il Tea Party…
Quando vengono scrutinati i primi seggi in Delaware, Christine O’Donnell sperimenta cosa vuol dire perdere la faccia: fino a qualche settimana fa aveva un discreto vantaggio nei sondaggi per il Senato, ma quando predichi di avere dei valori (si è detta contraria alla masturbazione) e poi precipiti in uno scandalo (è stata accusata di aver sedotto un giovanotto), l’America puritana e voyeurista non perdona. In casi come questo neppure i tea partiers possono fare miracoli. Anche Nikki Haley era stata accusata di aver avuto delle relazioni sentimentali con dei suoi giovani collaboratori, ma a differenza della O’Donnell ha tirato fuori le unghie vincendo la corsa per la poltrona di governatore del South Carolina. Per lei la battaglia fiscale del Tea Party è qualcosa di genetico, facendo imprenditrice di mestiere. L’imprimatur della controversa Sarah Palin, a quanto pare, l’è servito.
Un’Ansa poco dopo mezzanotte dà un primo flash sul Nevada, la sfida più attesa e forse quella decisiva nella corsa al Senato. Il leader dei democratici alla Camera Alta, Larry Reid, e l’eroina dei tea partiers, Sharron Angle, si stanno contendendo il seggio fino all’ultimo voto. Sembrano pari, anche se un primo exit poll dà la Angle favorita nel voto indipendente. Ma negli ultimi giorni il senatore Reid, che vuole una legge sull’immigrazione ed ha sponsorizzato l’Obamacare, ha raccolto un grande sostegno da parte della Casa Bianca: andate a votare, aveva detto il Presidente agli abitanti di Las Vegas, lì da voi c’è sempre bel tempo e quindi non avete scuse. Due giorni fa ha mandato addirittura sua moglie Michelle in missione speciale per convincere i disertori.
Più prosaicamente, ieri il sito della National Review pubblicava un carteggio email intercorso fra grandi proprietari e dirigenti di una catena di casinò di Vegas, che facevano ammuina per Reid e confessavano di aver spinto i loro dipendenti a votare per il senatore… A qualcosa sarà servito visto che dai primi risultati ufficiali Reid potrebbe spuntarla sulla Angle (fonte WP). L’appiattirsi della repubblicana sulla questione dell’immigrazione, e i video non proprio tolleranti che ha mandato in onda facendo infuriare gli ispanici forse erano scelte che la donna avrebbe potuto risparmiarsi.
Alle due e mezza di stanotte il Washington Post dava la Camera saldamente in mano al GOP. Un paio di ore dopo Drudge Report parlava di "tsunami" e l’obamiano Huffington Post doveva ammettere la batosta nella parte bassa del Congresso. I repubblicani non riusciranno a strappare ai democratici anche il Senato, come sognavano di fare. Qualche bel colpo però lo hanno piazzato lo stesso. Ci vorranno delle ore per avere i dati e il quadro definitivo su queste elezioni ma il primo commento che si può fare è che sono state rivoluzionarie, se pensiamo a quanta fiducia era riuscito a suscitare il Presidente Obama e in quanto poco tempo si è dissolta. Non tutta, sia chiaro. Un sondaggio apparso ieri evidenzia come Obama mantiene un consenso superiore a quello che aveva Bush quando toccò a lui affrontare le elezioni di medio termine.
Da oggi però l’incubo peggiore del Presidente si è realizzato: trovarsi di fronte un movimento popolare che fino adesso non aveva facce da spendere sulla scena politica nazionale, ad eccezione della Palin, ma che dopo le midterm ha dimostrato di avere una generazione di nuovi e giovani leader pronti a guidare il Paese. Rand Paul e Mario Rubio hanno rovinato la festa democratica del 2008. Il problema è se romperanno le uova nel paniere anche alla leadership repubblicana.