La politica non è solo retorica, ma Luca non lo sa
24 Settembre 2007
di redazione
Nelle scorse settimane è cascato in testa alla Confindustria montezemoliana la Cgil, con cui si era cercata un’intesa strategica e che adesso si registra annaspante, senza punti fermi. Ora sta precipitando anche un governo su cui si era scommesso qualcosa e che comunque si sperava durasse fintanto che non si fosse riusciti a trovare una via di uscita per evitare nuove figuracce. Ma come si è visto sul caso Rai in Senato, il processo di disgregazione appare irrefrenabile. Per dare una mano a una tenuta dell’esecutivo, Luca Cordero di Montezemolo aveva inventato lo scambio “rinuncia agli incentivi-taglio del fisco per le imprese”. Quando aveva avanzato questa proposta, Pierluigi Bersani che non è coraggiosissimo ma neanche fesso, aveva domandato: “Quali incentivi?”, sapendo che la faccenda era spessa. Montezemolo preso come al solito dalla propaganda, aveva glissato. Ora – come gli spiega anche il fedelissimo leader siciliano di Confindustria Ettore Artioli – è chiaro che gli incentivi all’industria del Sud (che costituiscono una bella fetta del malloppo) non si dovranno toccare.
Si deve dunque cercare di fare movimento in altra direzione, per evitare l’impasse. Un’iniziativa si è presa sulla criminalità in Sicilia, con dichiarazioni molto opportune sulla mobilitazione necessaria per contrastare la criminalità diffusa in questa area del Paese. Non tutte le posizioni assunte sono interamente convincenti. Obiettivamente vi è una differenza tra chi è colluso con la mafia e chi è costretto a pagare il pizzo. Ogni tanto appare, poi, come vi sia un impegno differenziato nel contrastare l’illegalità. Fermissimo dove conviene politicamente. Più sfumato, vedi la Campania, dove potrebbe determinare effetti negativi nelle alleanze e anche negli equilibri confederali. Magari è una sensazione, però pericolosa, perché una lotta alla criminalità influenzata da discriminanti politiche, e ancora peggio da beghe interne, diventa poco credibile.
Comunque, pur sacrosanta, la lotta al crimine non risolve i problemi di indirizzo di viale dell’Astronomia né sarà decisiva nel determinare la successione. Qualcosa in più potrebbe portare un vero dialogo imprenditori-sindacati-governo sulla contrattazione nazionale e aziendale.
Esaltare, però, troppo – come fa d’ufficio il povero Cesare Damiano – i risultati del protocollo di luglio, significa volere fare di nuovo solo propaganda: non sono i minimi incentivi ottenuti per la contrattazione articolata che risolveranno i problemi. Bisogna avere, poi, molta freddezza nel valutare la situazione: è vero che la Cgil è completamente allo sbando, però questo a un certo punto sarà più un ostacolo che un aiuto a fare “veri” accordi (vedrete che cosa succederà per il contratto dei metalmeccanici). D’altra parte, i limiti del momento si erano constatati con il protocollo di luglio che si limita a fare del maquillage (in alcuni casi poco opportuno e costoso, in altri utile come per gli ammortizzatori) alle vere scelte fatte con sudore e fatica dal centrodestra.
Ecco perché i montezemoliani per poter ancora farsi spazio e magari avere un aiutino dagli imprenditori in caso, molto probabile, d’impegno politico del presidente uscente, devono puntare su fattori più consistenti. Innanzi tutto sull’antipolitica: gli ultimi dati presentati da Confindustria sugli sprechi del sistema italiano sono messi insieme con cura e aiutano la campagna di discredito della politica italiana su cui Montezemolo ha puntato molto: tante delle documentazioni utilizzate da libri e giornali contro “i politici” in questi mesi sarebbero state possibili anche grazie al sostegno confindustriale. Detto questo, distruggere è più facile che costruire, e si corre il rischio che arrivi il primo pagliaccio in circolazione, tipo Beppe Grillo, e scippi il lavoro di un’intera stagione.
Soprattutto Montezemolo deve riuscire a capire che quando si entra nell’agone politico, le parole diventano pietre e se non si ragiona bene su quel che si dice, si rischia di farsi male.
Il presidente in carica di Confindustria è andato avanti tre anni a spiegare che l’Europa era perfetta, che solo “cialtroni” come quelli del centrodestra non avevano capito quanto fossero perfette le istituzioni comunitarie. Poi improvvisamente la Bce sceglie la linea tradizionale Bundesbank della moneta forte, e non solo gli industriali del Nord-est rumoreggiano pericolosamente, ma Sergio Marchionne, un cui fischio basta ad allineare Montezemolo, dice che la Fiat non può tollerare un euro così forte.
Ed ecco che il nostra rincula, chiede una valuta meno forte, di difendere l’export italiano: Innocenzo Cipolletta dice il contrario? E che cosa ci importa di Cipolletta.
Il presidente libero-e-bello comincia a ragionare come un Giulio Tremonti qualsiasi sul fatto che le istituzioni comunitarie (come qualsiasi altra istituzione) possono avere un ruolo fondamentale e insostituibile, ma, nonostante questo ruolo, possono assumere posizioni sbagliate in certe circostanze e che una corretta dialettica, cosciente dei suoi limiti ma anche dei suoi doveri, è assolutamente opportuna. E che, per esempio, nella vicenda “euro forte” è meglio per gli italiani sostenere Nicolas Sarkozy che Angela Merkel.
Non sarebbe male che Montezemolo studiasse il caso di cui stiamo discutendo e si rendesse conto che la politica e la guida sindacale degli imprenditori non è solo comunicazione e retorica.