Latorre si difende dai reati ma non dai fatti

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Latorre si difende dai reati ma non dai fatti

27 Luglio 2007

Nicola Latorre ha scritto oggi una bella lettera al Corriere. Piena di complimenti per la testata e il suo direttore per dissociarsi dalla gaffe di Fassino del giorno prima. E piena di buoni argomenti per dimostrare che dalle intercettazioni telefoniche che riguardano lui e altri leader diesse non emerge alcun “progetto criminoso di ampia portata”.
Latorre cita date, contestualizza, fornisce elementi di fatto per dire che le ipotesi di reati come l’insider trading o l’aggiottaggio, non stanno in piedi. I suoi ragionamenti paiono sinceri e convincenti. Purtroppo non è questo il punto.

Lo abbiamo già detto e scritto, il versante criminale o penale della vicenda è quello che ci interessa meno: il ruolo delle tricoteuses sotto la ghigliottina non ci è mai piaciuto. I tempi lunghi e tortuosi della magistratura diranno se quei reati sono esistiti oppure no. Qui e ora però non possiamo far finta di non aver letto quelle intercettazioni. Messi da parte i reati, lì dentro c’era molto altro.

Latorre se la cava con due righe della sua circostanziata lettera dicendo che ovunque nel mondo “la politica si interessa agli assetti economici e finanziari”. Verissimo, ma nel turbinio di telefonate tra D’Alema, Fassino, La Torre e Consorte c’è qualcosa di più che il semplice desiderio di conoscere e valutare. C’è un cameratismo sguaiato che unisce attori politici e interessi privati; c’è il senso di una partita comune da vincere assieme contro forze ostili; c’è un tifo evidente legato alla prospettiva dell’ “anno elettorale” che incombe; c’è il coordinamento assiduo e complice su manovre finanziarie spericolate; c’è una convergenza di interessi palese e un conflitto di interessi latente.

C’è insomma l’immagine di un partito molto lontano da quella supposta “diversità antropologica” che gli ha consentito per anni di impancarsi a metro di moralità e di buona condotta. Se c’è un’Italia “alle vongole”, come i salotti buoni della sinistra sostengono, in quell’Italia c’è posto anche per il partito di Fassino, D’Alema e La Torre. Anzi ne sono l’ingrediente principale.

Se i diesse sognano, come dicono sempre, un Paese normale, dovrebbero ammettere di essere un partito normale, che fa politica nell’unico modo possibile: sporcandosi le mani. Come gli altri e qualche volta peggio.