Le preghiere di Casini  non convincono il Cav.

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Le preghiere di Casini non convincono il Cav.

14 Febbraio 2008

La tenacia con cui Silvio Berlusconi resiste alle richieste di
Casini e alle fortissime pressioni che l’accompagnano è certamente ben
spesa. Tutte le ragioni che il leader dell’Udc mette in gioco per
dimostrare la necessità di un apparentamento con la lista del Pdl sono
esattamente quelle che portano Berlusconi e Fini a resistere.

I
richiami alle radici, ai valori, all’identità sono buoni per i pastoni
dei tiggì. Il simbolo dell’Udc ha sei anni di vita ed è il frutto del
connubio tra il Ccd di Casini, il Cdu di Rocco Buttiglione e Democrazia
Europea di Sergio D’Antoni. Qualcuno se ne ricorda? E quanti sono in
Italia quelli che saprebbero svolgere gli acronimi di quei partiti
senza fatica?

La questione non è di simboli ma di seggi.
Casini ha bisogno si collegarsi alla lista unica per garantirsi i
numeri sufficienti ad esercitare un potere di veto e di condizionamento
nella prossima legislatura. Non gli sono sufficienti a questo scopo i
posti in lista che gli offre Berlusconi e neppure quelli che sarebbe in
grado di conquistare correndo da solo.

Casini è
legittimamente impegnato in una battaglia politica di sopravvivenza:
non ci sono valori o principi in gioco, ne si può dire che l’Udc 
esprima un blocco sociale in cerca di rappresentanza o di tutela. Tutto
il suo peso e il suo senso si compie in quel potere mediano di
interdizione che viene pomposamente chiamato “centro”. E’ solo grazie a
quel potere, ad esempio, che Casini ha potuto ottenere, nella scorsa
legislatura, quella legge elettorale proporzionale che ora, con
lampante eterogenesi dei fini, rischia di mettere fine alla breve
storia del suo partito.

Altrettanto legittimamente Berlusconi si oppone a questo tentativo e le ragioni sono molte e fondate.

La
lista unica non nasce in una notte, come dice il segretario Udc, Cesa,
ma è il risultato di quella “rivoluzione del predellino” che Berlusconi
ha lanciato a metà novembre. L’annuncio della nascita di un nuovo
partito, allora, non fu solo un espediente per rompere l’attesa di una
“spallata” che tardava ad arrivare. Coincideva invece alla doppia
esigenza di rispondere all’innovazione obbligata che a sinistra aveva
portato alla nascita del Pd e a prefigurare, in caso di ritorno al
governo, un rapporto diverso e più limpido con gli alleati di sempre.

L’elemento
di novità che si è prodotto con la nascita del Pdl e la decisione di An
di aderirvi rinunciando al proprio simbolo sarebbe infranto se si
consentisse a Casini di agganciare il suo partito al carro della lista%0D
unica. Sarebbe un precedente che renderebbe più difficile dire no alla
Destra di  Storace, a De Gregorio, a Ferrara e a chissà quante altre
liste e listine, e inoltre metterebbe in grandi difficoltà Fini nel
difendere le ragioni della sua rinuncia.

 Veltroni ha
dovuto cedere al  partito di Di Pietro per paura di perdere i voti del
“grillismo”,  appannando così uno dei pochi punti di forza della sua
campagna elettorale. Uno svantaggio che sarebbe subito controbilanciato
dal cedimento a Casini.

Ma le ragioni di Berlusconi non sono
solo di opportunità o di calcolo elettorale, sono soprattutto di
carattere politico e sistemico.

Se nell’ambito del
centro-destra si consente la sopravvivenza di un partito di centro è
evidente che quello che resta somiglierà sempre di più a un partito di
destra. Questa rappresentazione sarebbe infondata per quello che
riguarda Forza Italia perché tradirebbe le sue origini di grande
partito moderato, naturalmente al centro del sistema politico; sarebbe
sbagliata nella prospettiva del Pdl di portare anche An nell’ambito
europeo del Ppe; e,  lasciando libertà d’azione alle ambizioni  di un
terzo polo, sarebbe la pietra tombale di ogni ipotesi di riassetto
bipartitico del panorama politico.

Allo stesso modo, se
nell’ambito del centro-destra si consente la sopravvivenza di un
partito che si definisce cattolico, si ammette implicitamente che
quello è lo spazio naturale ed esclusivo dei cattolici moderati.
Sarebbe di nuovo contro  la natura di Forza Italia e del suo originario
tentativo di far convivere laici e cattolici in un’unica casa, dove gli
stessi principi etici potessero essere interpretati e difesi senza
riferimento a professioni di fede. E’ la stessa obiezione che
plausibilmente ha portato Berlusconi a dire no alla lista “Aborto, no
grazie” di Ferrara. Sarebbe stato come ammettere che solo in quella
lista si potessero ritrovare coloro che hanno consapevolezza della
tragicità della scelta di abortire e del valore della vita umana che
viene sacrificata.

Quando si ritiene di avere dei “valori” da
difendere, recintare il territorio e innalzare i vessilli è il modo
migliore per trasformarli in rendite. Ferrara lo sa benissimo, per
questo la sua operazione si spiega solo con qualcosa di umanamente
incoercibile, degno di ogni rispetto, ma di impervia traduzione
politica.

Infine c’è un elemento di prospettiva sistemica
che forse andava citato al primo posto. Se l’avvio di dialogo tra
Berlusconi e Veltroni è stato serio come è sembrato – e le tracce si
ritrovano anche in questo inizio di campagna elettorale – questo va
tenuto vivo e salvaguardato anche nella prossima legislatura. Il
traguardo è quello di rifondare il sistema politico sull’alternanza tra
due partiti a vocazione maggioritaria che assieme raggiungano e
superino il 60 per cento dei voti. E che in casi straordinari  possano
anche ricorrere a temporanee alleanze in virtù della reciproca
legittimazione. Una riforma in questo senso salverebbe, tra l’altro, il
prossimo governo dall’idolatria referendaria e dai suoi molti sacerdoti.

Gli
avversari di una simile evoluzione, sia da un parte che dall’altra,
sono molti e potenti. Casini è tra questi,come ha tenacemente
dimostrato durante i balletti delle varie “bozze Bianco”. Mettere lui e
il suo partito nelle condizioni strategiche di contrastare ancora un
esito di stabilità e di semplificazione del sistema che dopo decenni
potrebbe essere a portata di mano, è forse la peggiore tra le possibili
conseguenze di questo lungo braccio di ferro.

Casini non si è
ancora arreso e spera fino all’ultimo in un ripensamento del Cavaliere.
Se questo non ci sarà vuole chi siano chiare a tutti le colpe della
rottura. Fa bene, perchè quelle colpe a molti sembreranno meriti.