L’impunità dell’Iran aumenta il rischio terrorismo
18 Settembre 2009
di redazione
Il devastante attacco suicida dei talebani a Kabul è l’ennesima tessera di un mosaico che disegna sull’intero orbe terracqueo il mostro del terrorismo. La dimensione strategica degli attacchi che punteggiano tutta la carta geografica risponde a svariati disegni, sia di origine sunnita sia sciita, e tutti mirano a stabilire un califfato mondiale.
Per tutti i combattenti dell’islam estremo, sia sunniti sia sciiti, il punto di riferimento, il modello ideale, l’incoraggiamento costante verso quella che considerano una sicura vittoria, è il regime degli ayatollah, l’Iran, la bandiera strategica, la fonte primaria della strategia mondiale e del finanziamento del terrorismo mondiale. Fra gli insurgent afghani e l’Iran c’è un rapporto strategico essenziale. Teheran è il modello e la fonte di approvvigionamento del terrorismo islamista di tutti i tipi, molte volte se ne è parlato addirittura come di uno dei rifugi di Bin Laden.
Proprio in questi giorni, scade per questo Paese un appuntamento che avrebbe dovuto essere cruciale, e non lo sarà. Mahmoud Ahmadinejad, che Barack Obama avrebbe voluto mettere alle strette con la sua politica della "mano tesa", ci prende in giro di nuovo, come fa dal 2005, sbeffeggiando il tentativo americano di bloccare il suo progetto nucleare. Sa che le incertezze strategiche di questa amministrazione americana gli consentono di guadagnare tempo per costruire la bomba atomica, e di proseguire con la strategia globalizzata di terrore inventata dai mullah.
A giugno l’Iran era stato sfidato da Obama ad accettare seri negoziati sul nucleare in costruzione, e il G8 aveva stabilito che l’Assemblea generale dell’Onu sarebbe stato l’appuntamento decisivo. Il 10 di luglio Obama disse: "Ho fornito all’Iran un sentiero per assumere il suo giusto ruolo nel mondo… Ne parleremo al G20, che si riunirà il 23 settembre". Ma nella prima settimana di settembre è giunta la risposta di Ahmadinejad, per nulla indebolita dopo gli assassinii e le violenze a catena seguite alle elezioni del 12 giugno. Il leader iraniano dedicava cinque pagine al "blasfemo modo di pensare che prevale nelle relazioni globali" e predicava su vari temi: "Democrazia, disarmo totale, rispetto per il diritto delle nazioni". Era pronto a un dibattito su tutto, ma, spiegava, "la questione nucleare è chiusa".
Il 10 settembre il portavoce di Obama, Philip J. Crowley, affermò che "gli Stati Uniti ritengono ancora di dover sfidare l’Iran"; il giorno dopo, lo stesso Crowley ha annunciato che Obama avrebbe accettato di parlare con gli ayatollah. Non c’è da stupirsi se il 14 settembre il giornale iraniano Javan ha titolato, trionfale: "L’inevitabile accettazione di un Iran nucleare". Si dice che il primo incontro fra l’Iran e lo schieramento occidentale avverrà il primo di ottobre con Javier Solana, che incontrerà Said Jalili, il capo dei negoziatori nucleari iraniani; proprio Solana pochi giorni fa ha negato che l’Iran sia sulla soglia della produzione della bomba. Cosa che invece è confermata da tutte le fonti, compreso l’ambasciatore americano all’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) Glyn Davies, che ha lasciato capire che l’Iran sta per avviare l’ulteriore arricchimento di uranio già preparato; ha anche aggiunto che per una sola bomba atomica c’è già abbastanza materiale. Ma Ahamdinejad non intende parlarne nei colloqui prossimi venturi, mentre sta certo calcolando come sfruttare al meglio ogni attimo in cui riproporrà il tema dell’immorale conduzione occidentale dei rapporti internazionali per continuare nel suo programma di costruzione della bomba atomica e del suo esercito terrorista nel mondo.
Sembra chiaro, dunque, che Obama non tratterà la questione iraniana quando presiederà l’incontro del Consiglio di Sicurezza, a meno di colpi di scena; la Russia, come ha ribadito molto decisa, non sosterrà comunque nessuna sanzione contro l’Iran, decisa com’è a giocare la forza iraniana, in definitiva come una sua pedina; non teme che questo le costi l’ostracismo occidentale, ed è certa della sua forza dato che ha sentito dalla Casa Bianca il lieto annuncio che il sistema missilistico di difesa per l’Europa dell’Est sarà abbandonato; il dipartimento della Difesa americano, secondo le dichiarazione del ministro Robert Gates, è decisamente contrario ad affrontare militarmente il problema.
Appare molto innervosito tutto il Medio Oriente moderato: dodici Paesi dell’area sono già impegnati nelle costruzione di strutture per l’energia atomica. Contenti invece, si può supporre, tutti i beneficiari della strategia iraniana, Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza, i loro emissari in Iraq, Bahrain e altri stati produttori di petrolio. Come pure i loro amici in Sud America, nell’Africa orientale e, oggi ci pensiamo con particolare angoscia, in Afghanistan.