L’Iran del ’79 non è l’Egitto del 2011 ma ai mullah conviene farlo credere

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L’Iran del ’79 non è l’Egitto del 2011 ma ai mullah conviene farlo credere

08 Febbraio 2011

Il Cairo cerca di riacquistare la sua normalità mentre il traffico nelle strade della capitale egiziana è in aumento, in corrispondenza con la riapertura delle banche e delle attività commerciali ma intanto, i carri armati restano a guardia degli edifici governativi, delle ambasciate e di altre importanti istituzioni nella città. Intanto il presidente americano Obama ha ammesso che tra i Fratelli Musulmani ci sono pulsioni anti americane. Ma i Fratelli Musulmani, ha detto Obama, non hanno il sostegno della maggior parte della popolazione egiziana."Per questo è importante che non crediamo che le uniche due opzioni siano i Fratelli Musulmani o un popolo egiziano oppresso”.

Ma non sono solo gli Stati Uniti a puntare lo sguardo sugli scenari del post-Mubarak. Anche l’Iran osserva la situazione con grande attenzione. All’inizio della seconda settimana di proteste le notizie dal paese dei faraoni sono giudicate positivamente e Teheran. La rivolta egiziana,e prima quella tunisina, sono potenzialmente in grado di sconvolgere gli equilibri del grande Medioriente. A livello geopolitico l’Egitto, assieme all’Arabia Saudita, è il baluardo che gli Stati Uniti contrappongono all’espansionismo iraniano. 

Intorno alla pace tra Egitto (assieme alla Giordania è l’unico paese arabo ad aver riconosciuto Israele) e Tel Aviv le amministrazioni Usa, democratiche o repubblicane, hanno organizzato per decenni la loro visione del Medioriente islamico. Il Cairo è un alleato fondamentale degli Stati Uniti  e ogni anno versano 1,3 miliardi di dollari in aiuti militari e, dal 1975 ad oggi, circa 28 miliardi di dollari in aiuti economici. E’ l’importanza strategica dell’Egitto che spinge il presidente Obama, dopo i tentennamenti iniziali, a preferire un “governo che rappresenti la maggioranza degli egiziani”. La Casa Bianca è preoccupata per i pericoli e  per complessità di una transizione in un paese che è un alleato di 80 milioni di persone. 

Il regime degli ayatollah, invece, ha di cosa essere soddisfatto. I Fratelli musulmani stanno incontrando i rappresentanti dell’esercito egiziano per programmare la transizione. La Fratellanza ( anche se ufficialmente al bando ha una forte presa sulla popolazione grazie alle sue politiche sociali di sostegno ai poveri) è un gruppo islamico ai limiti della legge che ha legami con diverse organizzazioni terroristiche. Più volte ha dichiarato sostegno ad Hamas, longa manus dell’Iran per esportare la propria influenza in Medioriente. Teheran sta provando a intestarsi la rivolta d’Egitto. Dal Libano, Hezbollah (alleato di ferro dell’Iran) è stato il primo partito del Medioriente ad appoggiare le proteste contro Mubarak. Ali Khamenei ha parlato di risveglio islamico, “diretto riflesso della nostra rivoluzione del 1979”. La guida suprema del regime ha usato parole pesanti per attaccare il traballante Mubarak, “servo dei sionisti e degli americani”, “nemico dei palestinesi e traditore da abbattere”.

Parlando in arabo anziché in farsi per rivolgersi direttamente agli egiziani, il successore di Khomeini ha detto che “quella a cui assistiamo in questi giorni è un’esplosione di rabbia sacra, un movimento di liberazione islamico, e io prego per la vostra vittoria”. Il ministro degli Esteri Saleh ha auspicato l’”islamizzazione” dell’Egitto stesso.

L’Iran punta al ruolo di paese guida del mondo musulmano e del Medioriente. Due anni fa le autorità egiziane scoprirono i piani per un attentato nelle località turistiche del Mar Rosso ad opera di persone riconducibili ad Hezbollah. Agli occhi del Cairo si trattava del tentativo iraniano di destabilizzazione del regime di Mubarak. Le rivelazioni di WikiLeaks fanno pensare che “l’odio viscerale per la Repubblica Islamica” ( come si legge in un cablogramma dell’Ambasciatore americano Margaret Scobey) al Cairo sia più vivo che mai. Perché Mubarak dice di temere, oltre alla bomba sciita, i piani di destabilizzazione dell’Egitto pianificati a Teheran. L’Iran ha espresso pieno sostengo alle rivolte di questi giorni, sperando in un cambiamento degli equilibri regionali a suo favore. Nelle notizie che arrivano dal mondo arabo Teheran vede la crisi dei governi secolari legati alle democrazie dell’occidente e non il desiderio di libertà e democrazia. Ma l’entusiasmo del governo iraniano serve anche a coprire un problema di stabilità interna.

Dopo le elezioni presidenziali del 2009, vinte truffaldinamente da Ahmadinejad, l’Onda verde trascinò il paese in una lunga rivolta contro il presidente e Khamenei. Ora l’alleanza tra pasdarn e mullah vuole impedire nuove proteste offrendo una interpretazione positiva dei tumulti nordafricani. La versione diffusa dai media controllati dal governo è che gli egiziani si sono ribellati al despota Mubarak servo degli americani così come noi iraniani nel 1979 abbiamo cacciato lo Scià.

Questa versione trova l’appoggio dei circoli conservatori più vicini al presidente perché una nuova rivolta potrebbe essere fatale alla dittatura. Se i moti di piazza del 2009 sono falliti è perché la protesta non è stata trasversale. In piazza c’è erano gli studenti e la classe media iraniana. Per certi versi è stata una protesta troppa elitaria che i basiji e i fedelissimi guardiani della rivoluzione erano riusciti a reprimere nel sangue. E’ mancato l’appoggio delle classi più povere e dei “bazaari” i grandi mercanti che fanno affari con Ahmadinejad e soci. Ma la situazione iraniana è cambiata. Le sanzioni Onu stanno penalizzando l’economia a statalista di Teheran. A dispetto dei segnali di ripresa cresce il malcontento della gente per un’inflazione ormai fuori controllo.

A dicembre il presidente ha cancellato i sussidi che da trent’anni tenevano artificialmente bassi i prezzi dei generi di prima necessità. Una mossa rischiosa ma necessaria, che incrina il patto su cui si regge la Repubblica Islamica. Il colpo si è sentito e il gasolio è aumentato nove volte, la benzina quattro. Fattori che hanno  innescato l’ennesima impennata dell’inflazione, già oltre il 20%. Il potere era pronto al peggio e il giorno dello shock ha fatto presidiare Teheran dalla polizia in assetto anti-sommossa. Non è successo nulla. Arresti, torture e impiccagioni hanno sedato le piazze.

Tuttavia il malcontento sta montando. Se il regime non trova un rimedio al carovita, l’Iran potrebbe esplodere. Anche Ahmadinejad, come Ben Ali e altri dittatori arabi, sta concentrando il potere in un clan sempre più ristretto di fedeli e parenti. I pasdaran attraverso  le fondazioni religiose e le partecipazioni nel comparto industriale hanno messo le mani sui gangli vitali dell’economia mentre al popolo restano le briciole.

Intanto regime esulta per la rivolta che mette in difficoltà un grande rivale geopolitico, prima ancora che ideologico come L’Egitto. Ma non può non temere che l’effetto domino possa arrivare anche in Iran, risvegliando l’Onda Verde.