L’Iran si prepara al voto tra faide religiose e la minaccia di Al Qaeda

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L’Iran si prepara al voto tra faide religiose e la minaccia di Al Qaeda

04 Giugno 2009

Altro che Guantanamo. Il presidente Ahmadinejad il terrorismo interno lo combatte così: fa arrestare tre uomini accusati di aver procurato l’esplosivo per l’attentato alla moschea avvenuto la settimana scorsa e li impicca senza troppi complimenti sulla pubblica piazza, davanti alla folla riunita per l’evento che scandisce slogan pro-governativi (sono stati attaccati anche i centri per la campagna elettorale di Ahmadinejad). Nel frattempo il clero sciita denuncia la longa manus americana dietro le bombe, indicando nei “Jundollah”, le milizie sunnite legate ad Al Qaeda che operano nel Paese al confine con il Pakistan, i responsabili degli attacchi.

La Casa Bianca smentisce ogni responsabilità. Venerdì scorso il portavoce di Omaba Gibbs è intervenuto per dire che “Gli Stati Uniti condannano con forza i recenti attacchi terroristici in Iran”, facendo le condoglianza alle famiglie delle vittime iraniane. “Nessuna causa giustifica il terrorismo – ha aggiunto – e gli Stati Uniti lo condannano in ogni forma, in ogni Paese, contro qualsiasi popolo”. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Ian Kelly, ha specificato che gli Usa “condannano ogni forma di violenza settaria”. La violenza è esplosa lunedì sempre nella provincia di Zahedan, sede della moschea attaccata il 28 maggio (25 vittime). Negli scontri fra sunniti e sciiti sono morte altre 6 persone  e 150 sono state arrestate. L’Iran ha chiuso le frontiere con il Pakistan, rafforzando i controlli al confine e complicando il commercio fra i due Paesi.

C’è poi il discorso delle relazioni, non si può dire quanto amichevoli, fra l’Iran e Al Qaeda. Dopo l’11 Settembre sono emerse una serie di prove che hanno mostrato come il governo iraniano ha lasciato transitare e ospitato nei suoi confini terroristi di Bin Laden. Informazioni del genere sono emerse anche dalla Commissione che ha indagato sull’attentato alle Torri Gemelle. Eppure, da quando Ahmadinejad ha iniziato ad agitare lo spettro della Cospirazione, dicendo che dietro l’11/9 ci sarebbero i servizi segreti israeliani annidati nell’amministrazione Bush, e ancora di più da quando si è iniziato a parlare di collaborazione iraniana al confine con il Pakistan, le relazioni fra Teheran e il vertice quaedista si sono progressivamente raffreddate, almeno ufficialmente.

La prova è in uno dei messaggi audio diffusi dal medico egiziano Ayman al-Zawahiri l’anno scorso. Il braccio destro di Bin Laden condanna le teorie complottiste degli iraniani, rivendicando la genuinità dell’attacco alle Torri Gemelle. “Il capo dei musulmani di Teheran collabora con gli americani riconoscendo i governi collaborazionistidi Baghdad e di Kabul”, diceva Zawahiri, lanciando un messaggio funebre alla grande potenza sciita che i quaedisti considerano un governo eretico su cui non si può fare completo affidamento. Un Paese che forse va colpito, non solo a parole, per ricordare che nessuno è al sicuro nel mondo minacciato da Al Qaeda.

In ogni caso, visto che a Teheran i processi finiscono più veloce della luce, restano aperte tutte le piste, compresa quella che porta negli stessi palazzi del potere iraniano: l’episodio del misterioso ordigno scoperto dalla sicurezza iraniana su un aereo di linea domenica scorsa è un altro segnale di una strategia della tensione messa in atto a poco meno di due settimane dal voto. “Il nemico cerca di creare una atmosfera di insicurezza in vista delle elezioni presidenziali – ha detto il colonnello Kazemi, responsabile della sicurezza negli aeroporti iraniani – per influenzare le menti e le opinioni del popolo”. E’ lo stesso Paese in cui ai sostenitori di Moussavi – l’avversario di Ahmadinejad che cresce nei sondaggi – è stato vietato di esporre la foto del loro candidato ai finestrini delle auto. Uno strano Paese.