L’Islam, il Vaticano, la politica di potenza e la nostra crisi nazionale
31 Ottobre 2020
Islam e politica di potenza mediterranea nella crisi organica vaticana, europea e italiana. Questa potrebbe essere la sintesi di ciò che sta abbattendosi in Europa con la forza tipica delle pandemie, ossia un evento esogeno alla dimensione economica così come è oggi comunemente intesa e che colpisce – invece – simultaneamente la domanda, l’offerta di merci e la riproduzione sociale, giungendo a minacciare l’eliminazione della specie umana. Tutte le contraddizioni, le faglie sociali, ossia, per dirla nel linguaggio dei più, tutte le disuguaglianze economiche e culturali nel senso di autocoscienza e di autonomia dell’essere persona o, invece, solo individui, vengono al pettine.
Veniamo all’islam. La politica di potenza turca neo-ottomana promana dalla volontà di sostituire l’Arabia Saudita e forse anche l’Iran – nonostante le profonde divisioni settarie – nella leadership culturale dell’estremismo radicale islamico. Il risultato è nella volontà di potenza simbolico-militare che piccoli gruppi di individui giovani, della seconda e della terza generazione di immigrati in Francia soprattutto, ma anche in Belgio, in Italia e in altri Paesi europei (si pensi alle tensioni estreme in Spagna) ricevono nel landscape mediatico dei social. Si tratta della predicazione degli imam radicali e anche dei capi riconosciuti delle comunità musulmane. In Francia basta leggere le recenti dichiarazioni del responsabile – dinanzi allo Stato – dei musulmani cittadini francesi, per rimanere allibiti e sconcertati dinanzi alla resa nei loro confronti di una nazione che ha nelle sue corde profonde la legge Faure del 1905 sui rapporti tra Stato francese e culti ammessi, e che fa ricadere sotto la proprietà e il controllo dello Stato tutti i luoghi di culto (legge che fu ispiratrice della legge messicana del 1921 che vietava e vieta ancora oggi ai sacerdoti di qualsivoglia fede di vestire al di fuori dei luoghi di culto gli abiti propri per chi riceve i sacramenti sacerdotali).
Il Vaticano da anni – se si fa eccezione per il periodo di Benedetto XVI – ha abbandonato la volontà di combattere la secolarizzazione europea e quindi anche nordafricana e del grande Medio Oriente – dove sono le radici dei culti cristiani – e questo inizia ad avere i suoi effetti negli equilibri di influenza spirituale e culturale. Si colpiscono i cattolici non solo perché la Francia – nonostante la legge del 1905 – è ancora una potenza cattolica (sino ad aver “l’obbligo di curare” la Basilica Pontificia di San Giovanni in Laterano, come dimostrò di voler fare Macron nel corso di una sua visita in Italia), ma è ancora la potenza europea che contro la Turchia neo-ottomana ha scelto chiaramente di stare al fianco della Grecia, a differenza dell’Italia. La quale, invece, ha reso evidente il suo ritiro permettendo alla nave della Saipem – durante la crisi di Cipro sulle acque territoriali – di ritirarsi dalla zona contesa, a differenza delle navi della Total, che si trovarono invece subito al fianco le fregate della Marina Militare francese.
Il vuoto di potenza nel Mediterraneo – tuttavia – si accresce sempre più: l’Italia è una presenza non solo storica ma indispensabile. Ma, nonostante gli sforzi del ministro della Difesa Guerini di rendere manifesta diplomaticamente e politicamente con la minaccia della forza questa presenza, la nostra capacità di influenza è ormai pressoché nulla, a partire dal ritiro italiano dalla Libia: appoggiare nello stesso tempo due rivali equivale a scomparire senza onore, come si è fatto.
Gli Usa, d’altra parte, sono troppo distolti dalla rivalità con la Russia (campagna elettorale a parte) per non capire che solo un accordo, invece, tra loro e la Russia nel e sul Mediterraneo potrà riempire quel vuoto. Non bastano l’accordo Usa-Israele e i nuovi rapporti tra Stati del Golfo e Stato ebraico (che di quell’accordo sono anch’essi una causa): è solo il gioco di potenza unito delle uniche due superpotenze che – mentre si oppongono alla Cina – può contenere sino a co-dominare il Mediterraneo opponendosi alla potenza neo-ottomana.
Anche in Italia si preannunciano sommovimenti profondi nell’islam radicale. Con i profughi, ora lo sappiamo per certo dopo le notizie dei servizi segreti francesi, giungono anche i terroristi o popolazioni giovani che dal terrorismo vengono influenzate. La crisi organica italiana dunque continua nell’intensificazione del rischio pandemico e dell’ignoranza sociologica dei governanti: propugnano ora l’isolamento degli anziani, dimenticando le pagine e pagine scritte sul ruolo dei pensionati nella sostituzione per supplenza delle reti del welfare per l’assistenza di bimbe e bimbi: i nonni salvatori che difendono il lavoro delle mamme e dei papà si sono volatilizzati nel virus. Certo: l’alternativa è la pietrificazione sociale diretta dai commissari, dai tecnici, dai ministri, ecc., che non salgono o forse non sono mai saliti su un autobus o non sono mai entrati in un luogo di lavoro, frequentando invece movide e terrazze, come i protagonisti dei morettiani “Ecce Bombo” di straordinaria preveggenza sociologica.
La crisi investe tutta l’Europa. La crisi di potenza non è solo nel Mediterraneo. Come una metafora delle radici greco-cristiane e quindi nord-africane dell’Europa come civiltà, il vuoto di potenza si trasferisce anche in quella che Federico Chabod chiamava l’Europa del Nord (la Scizia), ossia le terre che poi furono l’impero carolingio e i Paesi scandinavi, diverse dall’Europa come la intendeva la sapienza greca. Anche lì il conflitto tra centro e periferia esplode e non solo in Italia e in Spagna in forme più o meno evidenti. Una Merkel stremata e al tramonto deve imporsi come può ai Länder riluttanti dinanzi alle sue proposte di lockdown.
Che succede? È la crisi organica. Nessun Governo europeo ha più la capacità di includere il popolo nelle sue decisioni. Dobbiamo tentare l’impossibile? No, forse occorrerebbe avere un briciolo di inventiva istituzionale nel rispetto costituzionale. Le Regioni, nonostante tutto, ossia nonostante alcuni loro governatori dominati dalla hybris del dominio, sono ancora, con i comuni, le istituzioni più prossime al territorio: le regioni sono il centro che si fa supplire (la famosa sussidiarietà dove è finita?) dalla periferia governante.
Perché, dunque, in guisa bipartisan, quattro governatori geograficamente strategici non son chiamati come ministri senza portafoglio e come vicepresidenti a sedere nel Governo? Nel Governo così com’è, senza rimpasti e manuali Cencelli, ma solo sotto la spinta della disgregazione che avanza e che ha come manifestazione il distacco sempre crescente tra cittadini e istituzioni. Nella pandemia l’Italia non può più permetterselo.