L’Italia lanci una grande conferenza sulla sicurezza dell’Occidente
05 Settembre 2014
di redazione
Pubblichiamo un documento inedito su NATO, situazione internazionale e nuovi conflitti a cura dell’Onorevole Paolo Alli (Ncd), Vicepresidente della delegazione parlamentare presso la Assemblea della Alleanza Atlantica.
Scenari in trasformazione. L’evoluzione rapida e drammatica degli scenari di guerra alla quale stiamo assistendo, dall’Ucraina alla Siria, dall’Iraq alla Libia, senza dimenticare la madre di tutte le conflittualità medio orientali, lo scontro Israele-Hamas, pone interrogativi inquietanti sulla capacità del mondo occidentale di intervenire in modo efficace nella prevenzione e nella gestione di questi processi. E quindi sulla capacità stessa di garantire la propria sicurezza. Attori nuovi e inaspettati si affacciano sulla scena insieme a soggetti tradizionali che mutano però la propria fisionomia e i propri metodi. Da un lato, per molti versi inaspettatamente, ricompare una Russia che grazie ad una ritrovata forza economico-finanziaria appare determinata a ricreare il cuscinetto che la caduta del blocco sovietico aveva distrutto. D’altra parte il sedicente califfato, inviso allo stesso Islam moderato ed evoluzione organizzata militarmente della ormai superata Al-Quaeda, avanza prepotentemente verso il Mediterraneo. Il fenomeno parte dall’Iraq ma contamina ormai diversi Paesi e si estende fino all’area sud sahariana, se anche Boko Haram dichiara il califfato in Nigeria. E’ una realtà che approfitta in modo scientifico delle situazioni di debolezza politica dei governi nazionali, come dimostrano lo stesso Iraq e la Libia, ma anche di qualsiasi spazio lasciato libero dalle istituzioni e dalla società per radicarvisi profondamente. L’obiettivo non celato, anzi apertamente dichiarato, è la penetrazione in Europa; il metodo, mai così cruento e spietato, consiste nell’annullamento di tutto ciò che si oppone alla propria avanzata, come le minoranze religiose storicamente integrate in Iraq e ora condannate al genocidio. La stessa Hamas oggi appare avere un ruolo assai più forte grazie a dotazioni militari che le permettono di minacciare Israele come mai era accaduto in passato, mettendo in secondo piano il fronte palestinese moderato di Abu Mazen. E, sullo sfondo, la presenza silenziosa a tutti i tavoli del vero convitato di pietra, quell’Iran ormai temuto dalle stesse potenze occidentali, che appare oggi in grado di influenzare in modo importante equilibri e strategie dell’intero quadrante medio orientale e centro asiatico. Se a questo quadro aggiungiamo il ruolo ondivago della Turchia, sospesa tra un’idea di adesione alla UE che pare perdere via via consistenza e la tentazione di affermare una forte leadership politica nel mondo musulmano, la complessità di quanto sta accadendo appare in tutta la sua drammatica evidenza.
Il ruolo dell’Occidente. In questo contesto l’Europa si trova, forse suo malgrado, a dover giocare un ruolo fondamentale, stante la debolezza della politica estera degli USA di Obama, che, sempre più concentrati sul fronte del Pacifico, sembrano incapaci di posizioni chiare e forti e soprattutto di una visione strategica complessiva. Del resto lo stesso Obama ha candidamente ammesso di non avere una strategia per la Siria, suscitando non poche perplessità, e questa debolezza americana non giova certamente alla causa di un’Europa che continua ad essere, purtroppo, una grande incompiuta. Non è l’Europa dei popoli, l’Europa politica sognata dai padri fondatori, in essa ancora e sempre gli interessi dei singoli Stati membri prevalgono su una visione realmente europea. Si prenda come esempio la recente decisione dei ministri degli Esteri dell’Unione di raccomandare interventi a sostegno delle minoranze perseguitate dell’Iraq: essa ha rappresentato, da un lato, un indubbio passo avanti, ma ha dimostrato, al tempo stesso, una strutturale incapacità di andare oltre il livello della raccomandazione, lasciando ai singoli Paesi la decisione su modalità ed entità degli interventi. Questo episodio, che ha comunque sbloccato un clima di sostanziale indifferenza delle istituzioni europee di fronte al dramma che si andava compiendo in Iraq, è stato fortemente voluto dal Governo italiano, e ciò dimostra che quello delle strategie internazionali della UE è un terreno sul quale il nostro Paese può giocare un ruolo decisivo, specie ora che Renzi ha ottenuto per il nostro Paese la posizione di Alto Rappresentante. Certamente una sfida ad alto rischio viste le forti aspettative nei confronti di Federica Mogherini, ma che va giocata fino in fondo, a partire dalla necessità di giungere ad un vero sistema di difesa comune europea.
La NATO. Di fronte alla sostanziale indecisione degli USA e ad una Europa ancora prigioniera di se stessa, diviene allora particolarmente importante la riflessione sul ritorno di centralità della NATO.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’Alleanza Atlantica, creata nel 1949 per difendere i Paesi membri dalle temute aggressioni sovietiche, ha visto progressivamente mutare le esigenze che ne avevano motivato la istituzione e si è adeguata ai nuovi scenari politico-istituzionali. L’articolo 5 del trattato, cuore dell’Alleanza, è andato via via perdendo la propria centralità, e la NATO si è progressivamente trasformata nel più potente ed efficace strumento di prevenzione e lotta al vero nuovo nemico dell’umanità, il terrorismo internazionale. La missione ISAF in Afghanistan, a guida NATO, è stata la dimostrazione più evidente di ciò, ma non bisogna dimenticare lo sforzo continuo e la presenza capillare in tutti gli scenari dove il terrorismo ha giocato e gioca un ruolo determinante. Al tempo stesso, l’Alleanza ha perseguito una serie di scopi e maturato competenze che le hanno permesso di agire con efficacia nella prevenzione dei conflitti, nella gestione delle crisi o dei post-conflitti, ed anche nel sostegno ad azioni umanitarie e di peace-keeping.
La crisi ucraina riporta prepotentemente alla ribalta l’articolo 5. Le dichiarazioni ufficiali sono ormai chiare ed esplicite; le pressanti richieste di intervento a protezione da parte dei Paesi Baltici e della stessa Polonia stanno determinando riposizionamenti importanti delle forze dell’Alleanza su quel fronte delicato ed appeso a fragili equilibri; ora anche l’Ucraina chiede alla NATO interventi concreti. E tutto questo rafforza una visione anti russa che sembrava ormai fuori dalla storia, evocando nuovamente scenari da guerra fredda. In particolare il mondo anglosassone appare nuovamente percorso dal timore del potenziamento dello storico nemico russo. Di fronte a questo timore, gli stessi Paesi europei che con la Russia hanno maggiormente dialogato e con la quale intrattengono forti scambi commerciali, tra essi in particolare l’Italia e la Germania, sembrano essere guardati con forti sospetti di cedevolezza verso Putin.
In realtà il nostro Paese ha sempre tenuto un atteggiamento di equilibrio politico e diplomatico che si è dimostrato, alla lunga, vincente. Per questo l’Italia deve continuare ad affermare, insieme alla lealtà – mai messa in discussione – verso gli alleati storici, a partire dagli Stati Uniti, la necessità di uno sguardo ampio e di una posizione realistica. In questa chiave la strategia NATO deve prendere in considerazione oggi almeno due grandi settori di crisi e di rischio potenziale e reale per le democrazie occidentali.
NATO e Russia. Sul fronte del contrasto al nuovo espansionismo russo occorre certamente attuare una difesa forte e determinata dei Paesi dell’Alleanza più esposti a questo rischio, costringendo con ogni mezzo Putin a desistere dalla propria offensiva. E non dimenticando che alla situazione esplosiva dell’Ucraina vanno aggiunti altri scenari di conflitto latente o potenziale nella cintura ex-sovietica, come nei casi della Georgia o della perdurante ostilità tra Azerbaijan e Armenia, e persino in alcune aree, per quanto minori, dei Balcani. In questo senso, la valutazione dell’opportunità di accelerare l’adesione alla NATO da parte di nuovi Paesi assume grande importanza. Infatti, oltre alla Georgia che spinge da tempo in questa direzione (Tbilisi sostiene che il 70% della popolazione è favorevole all’adesione alla NATO e alla UE) e ad altri Paesi minori, giunge oggi l’accelerazione della stessa Ucraina, che ha un duplice valore: quello di impegnare in misura maggiore le forze occidentali e quello di lanciare una ulteriore sfida a Mosca. Poiché la strategia di allargamento della Alleanza Atlantica ai paesi ex sovietici è certamente stato uno tra gli elementi che hanno rafforzato nel mondo russo lo spirito anti occidentale che consente oggi a Putin di tornare a mostrare i muscoli, è chiaro che ulteriori passaggi in quella direzione sono destinati ad inasprire il conflitto tra Russia e occidente. E’ peraltro certo che l’ipotesi di una adesione di Georgia e Ucraina alla NATO costituisce per Putin una minaccia molto seria, e che quindi va giocata in chiave diplomatica e negoziale.
NATO e Medio Oriente. L’altro fronte sul quale la NATO deve mantenere un livello di attenzione altissimo è quello del quadrante medio orientale. Il Presidente Obama per primo e ora sostanzialmente tutti i governo occidentali hanno riconosciuto che l’avanzata del califfato costituisce un rischio per tutte le nostre democrazie e non solo per i Paesi più prossimi (tra i quali peraltro è utile ricordare che vi è l’Italia…). Questa minaccia è drammatica perché non è solo dettata da una volontà di controllo del potere economico, ma alla propria radice un obiettivo di egemonia culturale che purtroppo trova seguaci anche nello stesso occidente. Solo un esempio: il califfato sta chiudendo scuole ed università, in particolare quelle caratterizzate da discipline moderne legate a scienza e tecnologia, e ciò in nome di un ritorno alla pèurezza dell’esperienza islamica originaria che non ha bisogno di questi strumenti demoniaci. Ciò è destinato a favorire un generale appiattimento culturale e a favorire i processi di indottrinamento che portano poi al reclutamento in massa di bambini e giovani. Questa strategia non dovrebbe certo essere condivisa dai Paesi islamici che si stanno conquistando il loro posto nel contesto globale non rinnegando le regole del progresso. Eppure, a parte le preoccupazioni manifestate da Tehran e l’autorevole pronunciamento di re Abdallah dell’Arabia Saudita, non abbiamo assistito al levarsi di un coro di disapprovazione o di condanna da parte del mondo islamico nei confronti dell’avanzata del califfato. Questo è un dato interessante e in qualche misura preoccupante, se si considera che la strategia di Al Baghdadi getta di per sè cattiva luce su tutto l’Islam e dovrebbe quindi essere duramente condannata dalla dal mondo islamico che si professa moderato. Puro calcolo di opportunità politica, semplice paura delle possibili rappresaglie o una forma di sottile connivenza? La differenza non è da poco e purtroppo non vi sono sufficienti elementi per dare risposte a questo quesito. Tuttavia è dovere dell’Occidente operare perché le forze moderate del mondo islamico abbiano la capacità di isolare il cancro fondamentalista, destinato altrimenti a travolgere tutto, giocando sulla debolezza istituzionale di molte realtà (Libia, Iraq, la stessa Siria) e sul fascino che la jihad comunque esercita sulle giovani generazioni. Altrimenti le Torri Gemelle diventerebbero presto un pallido ricordo rispetto a quanto potrebbe avvenire.
Inoltre è ormai certo che decine di migliaia di combattenti islamici, i cosiddetti foreign fighters, vengono arruolati nei Paesi Occidentali, e che solo una parte di essi è costituita da islamici emigrati di seconda, terza o quarta generazione, mentre una consistente percentuale è reclutata attraverso le conversioni e il successivo processo di indottrinamento da parte dei nuclei jiahdisti. E’ anche dimostrato che esistono nuclei di jiahdisti dotati di passaporto occidentale, che vivono in mezzo a noi e che costituiscono una seria minaccia per la vita quotidiana dei nostri popoli.
Di fronte all’evidenza dell’avanzata di questo nuovo terrorismo fondamentalista che potremmo definire come una sorta di Al-Quaeda 2.0 e della oggettiva minaccia che esso costituisce per un numero importante di Paesi dell’Alleanza, la NATO non può restare indifferente. Occorre quindi che essa metta in campo l’enorme potenziale di cui dispone, anzitutto per valutare con obiettività ed esattezza i rischi che i Paesi membri corrono a seguito della avanzata del califfato e dei diversi processi di destabilizzazione in atto nel quadrante medio orientale e sud sahariano. E quindi prendere decisioni adeguate, ad evitare che ci si possa trovare ad affrontare un nuovo Afghanistan, magari molto più vicino a noi. Tra queste decisioni, che potranno richiedere uno sforzo straordinario, è necessario che vi sia un adeguato spazio al tema dell’improcrastinabile intervento umanitario a sostegno delle minoranze religiose perseguitate in Iraq, nei confronti delle quali è in atto un vero genocidio che non ha finora mosso più di tanto le coscienze dell’Occidente. Decidendo di mettere in atto interventi di tipo umanitario in Iraq, la NATO avrebbe l’occasione di non dimenticare quel patrimonio di uomini, conoscenze, strumenti che le hanno permesso di rafforzare una visione volta a supportare i processi di pace in tante aree del mondo. Questo sarebbe anche un modo per giustificare meglio, agli occhi dell’opinione pubblica, la necessità di incrementare le spese per la difesa, argomento richiamato da più parti ma certamente inviso ai cittadini, specie in un momento di grave crisi economico-finanziaria quale quello che l’Occidente sta attraversando. Se appare inevitabile, per mantenere alta la guardia su tutti i fronti aperti in materia di sicurezza internazionale, che nei bilanci degli Stati le spese militari non diminuiscano ulteriormente, anzi in molti casi aumentino, ciò può essere giustificato solo con argomentazioni molto solide e sottolineando la natura straordinaria di questi incrementi.
I flussi migratori. Una riflessione particolare merita infine il tema della immigrazione clandestina, in particolare quella che avviene attraverso il mare. La nostra collocazione geopolitica nel mezzo del Mediterraneo ci costringe ad affrontare ogni giorno il drammatico dilemma tra sicurezza del nostro Paese e solidarietà umana nei confronti delle vittime del traffico di disperati, sul quale una parte importante dell’Europa continua a dimostrarsi sorda. Il risultato ottenuto dal Ministro degli Interni Alfano in questi giorni sembra aver finalmente rotto la sostanziale indifferenza delle istituzioni europee e dei principali Paesi dell’Unione di fronte al tema della difesa del confine meridionale dell’Europa. I Paesi più a nord dell’Italia, spesso i veri destinatari di flussi migratori ormai imponenti, dimostrano la loro insofferenza rispetto a questi fenomeni, arrivando ad esprimere posizioni sinceramente imbarazzanti quali quella del Ministro degli Esteri della Baviera, che ha recentemente accusato l’Italia di non applicare le normative in materia di identificazione dei migranti, favorendone così il loro spostamento verso nord. Una posizione che appare ottusa, sia perché comunque i disperati che arrivano in Europa, prima o poi, riescono a raggiungere le destinazioni che desiderano, sia (e soprattutto) se si considera che il traffico di migranti è oggi sempre più funzionale al fondamentalismo islamico divenendo una fonte di finanziamento del terrorismo di matrice jiahdista e probabilmente uno strumento per favorire lo spostamento anche di propri militanti. Si tratta perciò di un fenomeno che si interseca strettamente con altri inquietanti scenari, quali quello dei foreign fighters.
L’Italia, la UE, la NATO. L’ottenimento della posizione di Alto Rappresentante della UE per il nostro Ministro degli Esteri Federica Mogherini non va visto unicamente nel contesto del risiko euro-cencelliano delle nomine ma va legato alla indiscussa e storica autorevolezza del nostro Paese in materia di relazioni internazionali (ricordiamo il caso della Libia, sul quale ora moltissimi danno tardivamente ragione alla posizione allora assunta dal nostro Governo), oltre che alla localizzazione chiave, dal punto di vista geopolitico, che l’Italia riveste in questo momento storico.
Il Governo italiano sarà chiamato prossimamente a misurarsi su due fronti fondamentali: il consolidamento del proprio ruolo guida in materia di politica estera dell’Unione Europea e la posizione da assumere in ambito NATO. Senza avere la presunzione di voler dare suggerimenti, si potrebbero però enunciare alcuni elementi chiave e alcuni criteri prioritari.
• Anzitutto occorre porre da subito e con determinazione, in ambito europeo, la necessità di compiere decisi passi avanti verso un sistema di difesa comune.
• E’ inoltre indispensabile sollecitare la NATO affinché valuti in tempi brevissimi i fattori di rischio reale che l’Alleanza corre a causa dei numerosi fronti aperti in Medio Oriente, in particolare in Siria e in Iraq, e nella fascia settentrionale del continente africano e specificamente in Libia.
• La NATO stessa va richiamata a considerare, insieme alle oggettive priorità poste dalla gravissima situazione ucraina, la criticità del quadro medio orientale e nord africano, destinandovi le necessarie risorse.
• Sul fronte della diplomazia internazionale diviene strategico stimolare prese di posizione molto esplicite da parte di importanti Paesi, tra i quali la Turchia, contro la nuova avanzata del fondamentalismo islamico e delle violenze da esso perpetrate.
• Sul tema dell’immigrazione occorre continuare nell’eccellente azione fin qui svolta di responsabilizzazione europea, ricordando come questo non sia semplicemente un problema economico per l’Italia ma una questione ormai intrinsecamente legata alla sicurezza dell’intera Europa.
Mettere al tavolo tutti gli attori dell’Occidente. E’ chiaro che non ci si può più accontentare di approcci settoriali e approssimativi, ma è indispensabile disegnare finalmente un quadro complessivo degli eventi che stanno sconvolgendo gli equilibri internazionali. Per far questo in modo efficace gli strumenti convenzionali a disposizione dell’occidente appaiono inadeguati, sia per la netta sensazione che i vari Paesi vivano al costante inseguimento dell’evolversi di situazioni di conflitto e di emergenze umanitarie, sia perché la stessa ONU appare incapace di interventi risolutivi, bloccata da veti incrociati di varia natura.
Considerata la straordinarietà del momento che viviamo, il nostro Paese dovrebbe lanciare la proposta di una grande conferenza internazionale straordinaria sulla sicurezza dell’intero Occidente, a partire dall’area euro-atlantica, nella quale mettere attorno allo stesso tavolo tutti i Paesi coinvolti e le loro organizzazioni: l’Unione Europea, la NATO, l’OSCE, da estendere alla stessa ONU e forse all’Unione Africana.
Una ipotesi delicata e complessa, ma forse meno rischiosa del lasciare che le situazioni evolvano senza che nessuno riesca più a gestirle per minimizzarne le disastrose conseguenze sui fragili equilibri non solo europei e nord atlantici ma mondiali.